Capitolo sedici.

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Le giornate in ospedale erano cupe e grigie. Ogni briciolo di felicità dipendeva dalla presenza delle mie amiche. Da sola non volevo starci lì, quell'ambiente era così triste.
Quando non c'era nessuno a farmi compagnia solitamente dormivo e basta.
*L'aria era impregnata di odori tossici. Ero in mezzo a delle rocce, erano enormi. Aprii gli occhi e mi ritrovai seduta su una di quelle. Attorno a me il cielo era arancione e giallo. Sembrava stesse per arrivare la fine del mondo.
Scesi dalla roccia, sembrava molto più lontana dal terreno di quanto immaginassi. Mi sembrò di scivolare per un eternità.
Appena atterrai mi schiantai per terra. Mi sbucciai il gomito e il ginocchio, perdevo un sacco di sangue ma non mi decisi a fermarmi.
Camminavo in mezzo a quel territorio sconosciuto. Più andavo avanti e più mi sentivo fragile, iniziai persino a far fatica tenendo gli occhi aperti. Da lontano vidi una figura, era di spalle. Iniziai a implorare aiuto a quella figura sperando mi salvasse da quel posto. "Ti prego, portami via di qui!"
"Non so dove mi trovo, non so come ci sono finita qui!"
"aiutami, cazzo!"
Iniziai a strusciarmi per terra, non riuscivo più a reggermi in piedi. Quella figura si girò, ormai eravamo a pochi metri di distanza. Portava in volto la stessa maschera di cera che vidi l'ultima volta. *È la stessa persona*, pensai. Iniziò a prendermi a pugni, cercavo di schivarlo ma mi veniva difficile dato che non riuscivo più a camminare. Ad un tratto mi rotolai per terra, mi andò persino della terra in volto. Riuscii a rotolarmi abbastanza fino ad allontanarmi da quella figura. Provai ad alzarmi ma le mie gambe non riuscivano a reggermi. Sentivo una tale pesantezza addosso che mi bloccava nel punto in cui stavo. Volevo correre, ma più provavo a muovermi e più mi sentivo bloccata, come se mi stessi pietrificando. La figura era sempre più vicina, stava correndo per venirmi a prendere. Sentii un colpo dietro alla schiena e poi buio totale.
Mi svegliai. Ero nel mio letto d'ospedale. Mi sentivo bloccata nel letto, ancora non riuscivo a muovermi per bene. Ad un tratto vidi una persona entrare dalla porta: era Applejack. Ma non era l'Applejack che conoscevo. Aveva il volto contorto, era sgualcito come quando distruggi un pupazzo e non c'è più modo di ripararlo.
"Aa..iutami" mi implorava Applejack con quel poco di fiato che le rimaneva.
Fuori il cielo ritornò arancione. Riuscii finalmente ad alzarmi, poi notai il letto colmo di sangue e un buco nel mio petto.
"Scappa! Rainbow Dash scappa!"
Mi girai di scatto cercando di capire da dove fuggire, ma la stanza sembrava rimpicciolirsi sempre di più comprimendo le nostre figure. Sul comò affianco al letto notai qualcosa: era la maschera dell'assassino, quella di cera.*

(Sabato, 62 giorni, 30 maggio)

Finalmente tolsi il gesso. Ero libera. Potevo tornare a correre, a camminare liberamente, a fare tutto quello che mi era mancato per tutto quel tempo. Non ero mai stata così felice!

Non dovevo più portare quelle stupide stampelle, erano un inferno!

La mia vita ritornò quella che era prima.

La scuola stava per finire, mancava poco agli scrutini finali e solo nelle ultime settimane grazie a Twilight stavo recuperando. Si era lamentata tantissimo sulla mia irresponsabilità nel non studiare, ma io neanche la ascoltavo.

Alla fine capivo anche abbastanza in fretta, semplicemente mi scocciavo di seguire. Ma se mi ci mettevo d'impegno raggiungevo la sufficienza.

A scuola era sempre la solita routine: lezioni, e poi tutte nell'aula di musica. Subito dopo in mensa e alle 15:00 c'erano gli allenamenti di calcio. Avevo subito ricominciato a giocare, era fantastico!

Rarity continuava a uscire con Edward, si erano già baciati diverse volte.

"Ragazze, è stato magnifico! Mi ha baciata! Ah, non sono mai stata così eccitata!"

"Non potrebbe mai piacermi una come lei!" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora