Capitolo 13

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Numero di parole: 891

Il limpido celeste pomeridiano aveva ceduto il suo posto ad un nitido lilla. Gl'ultimi bagliori del giorno indoravano il profilo dell'oceano ad ovest e le sottili nuvole spumose avevano sporcato il loro candido bianco di un acceso rosa vermiglio.

Impressi nei miei occhi le vivaci tinte del tramonto, mentre il placido mare nel quale ero immersa perdeva, d'altro canto, ogni colore.

La fine è una conseguenza dell'inizio.

Le gemme delicate cadono dagli alberi in veste di frutti.

Il roseo colorito delle labbra sfuma in un freddo blu.

E il sole, proprio come in quel momento, affonda nelle profondità dell'oceano, abbandonando il mondo nelle braccia delle tenebre.

Se solo avessi avuto la certezza che ogni fine si sarebbe vestita degli splendenti colori che quella sera il sole morente stava regalando al suo amato cielo, allora non avrei mai più avuto paura di nulla.

Ma, ahimè, quella era una certezza che non potevo avere.

Talvolta il sereno viene spezzato all'improvviso dalla pioggia.

Talvolta la notte arriva triste e grigia.

Nessuna premura aveva accompagnato la mia felicità verso la sua fine.

Nella piazza che circondava il magazzino non si vedeva né Ayano, né Senku. Il piacevole torpore che il vino mi aveva donato s'era trasformato in una spossante stanchezza che mi rendeva difficile stare in piedi.

Non riuscivo a pensare lucidamente e il mio corpo non reagiva correttamente agl'ordini. Camminavo veloce, nonostante volessi andare piano; ansimavo pesantemente, nonostante cercassi di calmare il mio respiro.

Mi introdussi nella boscaglia, senza curarmi di far piano.

"Calmati Kohaku – strillò la mia coscienza – Non essere avventata."

Decisi di darle ascolto e mi fermai.

Il silenzio della foresta era spezzato da un flebile mormorio alla mia destra. Le voci erano irriconoscibili a quella distanza, ma sapevo bene a chi appartenessero.

Scaltra come un cerbiatto, solcai la distanza che mi separava dalla fonte del suono. Ad ogni passo che facevo questo aumentava di intensità e mi rendeva più facile comprendere sempre più parole, ma ad un certo punto cessò di colpo.

Il mio cuore saltò un battito. Mi avevano sentito? Era quasi impossibile, dato che facevo fatica io stessa ad udire i miei stessi passi. Non riuscivo ancora a scorgere le loro figure, così dedussi che nemmeno io ero entrata nel loro raggio visivo.

Aumentai il passo, sempre facendo attenzione a non far rumore, finché entrambi mi apparvero a pochi metri di distanza.

Se quando la loro conversazione si era interrotta il mio cuore aveva cessato di battere per un secondo, in quel momento lo crebbi fermatosi per sempre.

I loro visi erano appiccicati, il petto di lei spingeva contro quello di lui, mentre le sue braccia gli circondavano il collo.

Feci un unico pensiero. Era quello di Ruri che mi raccontava la storia della maga Medusa, una creatura malvagia coi serpenti al posto dei capelli, che trasformava in statue tutti coloro che la guardavano negli occhi. Si credeva che le centinaia di salme disperse nella foresta fossero le sue vittime e che ella vagasse ancora nel bosco in cerca di qualcuno da tramutare in pietra.

Come se fosse lo sguardo di Medusa, il loro bacio violento mi pietrificò.

Senku mi disse che quando il suo corpo era di roccia non vedeva, né udiva nulla che non fosse lo scorrere dei suoi pensieri. Io invece vedevo ogni cosa; con una chiarezza tale che potevo quasi sentire come fosse stringergli la testa fra le mani e baciarlo.

Potevo immaginare con chiarezza il fremito delle mie labbra, la morbidezza delle sue, il calore del suo respiro e la potenza della sua stretta.

Mi era facile farlo, infondo era ciò a cui pensavo ogni notte.

"il poter vivere con lui in questo nuovo mondo è un'occasione che non sprecherò."

Quella frase mi ritornò alla mente in un baleno e il sangue riprese a scorrere con vemenza lungo i miei vasi.

Ripercorsi la strada che avevo fatto correndo come una disperata.

Forse credevo che se mi fossi allontanata, anche la realtà avrebbe fatto lo stesso.

Il ramen, la cola e il vino risalirono le pareti della mia gola così violentemente che dovetti fermarmi e piegarmi in due ai piedi di un albero per farli uscire.

Il primo conato mi fece perdere l'equilibrio, tanto che mi aggrappai al solido tronco con entrambe le mani per non finire nel mio stesso vomito. Non mi ressi per tanto in piedi, poiché alla scarica successiva barcollai indietro e caddi inginocchio.

Non mi accorsi nemmeno di star piangendo.

Vomitai una terza volta, quasi senza rendermene conto, e solo quando ebbi finito mi accorsi che una mano mi stringeva le spalle e un'altra mi teneva i capelli.

"Oi – disse una voce familiare – lo sapevo che bere era una pessima idea."

Trasalii.

Feci un passo avanti, scrollandomi di dosso le sue mani, e non mi voltai nemmeno. Se non potevo baciarla, la bocca con la quale parlava, allora mi sarei risparmiata anche di guardarla.

Il mio pianto stava per diventare furioso, così decisi di andarmene, evitandomi altre emozioni per quella tragica serata.

"Io me ne torno al villaggio." Sussurrai con un filo di voce.

Non sapevo se mi avesse risposto o meno, ero troppo ubriaca e confusa per affidarmi ai sensi.

Partii il più velocemente possibile ed arrivata difronte al ponte del villaggio, svoltai e mi diressi verso la spiaggia.

Forse un bagno mi avrebbe lavato via quell'orribile giornata di dosso. 


// spazio autrice //

Buone vacanze di carnevale a tutti. 

Come vi sembra questo capitolo 13? 

Spero vi sia piaciuto e che vi abbia un po' stupito. Se siete curiosi di leggere il continuo, vi aspetto martedì 1/03/2022 con la parte 14.

Baci

- Anthyllis 


𝑺𝒕𝒐𝒏𝒆 𝑯𝒆𝒂𝒓𝒕𝒔 | Dr.StoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora