Capitolo 13

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La narrazione si apre con il vicario che, a tavola, constata la mancanza di pane fresco e si augura che i tumulti si plachino al più presto. Proprio in quel momento la folla si avvicina alla sua casa e l'uomo, avvisato del fatto di essere uno degli obiettivi della rivolta, decide di rifugiarsi in soffitta mentre i suoi servi sprangano porte e finestre. Tra la folla urlante c'è anche Renzo che, seppur preso dalla protesta, quando capisce che si vuole attentare alla vita del vicario si schiera con coloro che lo vogliono salvo. Nel frattempo sul luogo giungono dei soldati guidati da un ufficiale piuttosto indeciso sul da farsi. Tramaglino esprime allora il suo dissenso ad alta voce dando vita a più di un equivoco dato che alcuni si convincono che sia un servitore del vicario, mentre altri credono che sia il vicario stesso in persona. L'annuncio dell'arrivo del cancelliere Ferrer, fortunatamente, distrae la folla. L'uomo sta cercando di calmare gli animi e, per placare il proprio senso di colpa, distribuisce saluti e sorrisi, rimanendo però sempre all'interno della carrozza e affermando di essere venuto a prelevare il vicario al fine di portarlo in prigione. In realtà le cose stanno diversamente dato che Ferrer stesso, in spagnolo, dice al conducente della carrozza di procedere con prudenza. Renzo, ricordatosi che il nome del gran cancelliere era sulla bolla mostratagli da Azzeccagarbugli, si dà intanto da fare per favorire il passaggio. Il vicario viene così prelevato e fatto salire sulla vettura anche grazie al consenso dei manifestanti, ormai convinti con l'inganno che le cose stiano volgendo al meglio. Salito in carrozza il vicario confessa si aver deciso di dedicarsi all'eremitaggio.

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