54. Amor, ch'a nullo amato amar perdona

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Scott

Sento un gravoso freddo imprigionarmi le ossa.
Scosto la mano, appoggiandola sul tavolo in legno, gelido.

Faccio fatica a mandare giù il boccone, rimane incastrato proprio al centro della gola, tra le corde vocali, sotto il pomo d'Adamo e non vuole saperne di scendere.
Lo stesso è per la puntigliosa sensazione che mi ossessiona da una buona manciata di minuti confusi in ore e giorni.

Scuoto la testa, afferrando immediatamente il bicchiere di acqua. Appoggio i bordi alle labbra secche, deglutendo un grande sorso, troppo velocemente e troppo pieno.
Cerco di trattenermi fino all'ultimo, ma il prurito è insostenibile. Tossisco in maniera soffocata, attirando l'attenzione di tutti quelli seduti al tavolo, che mi guardano attenti seppur cerchi di nascondermi alla loro vista.

Amanda si volta immediatamente nella mia direzione, confusa. I suoi occhi sono grandi come biglie, «Tutto bene?».

Sono sicuramente rosso in viso e gli occhi si sono inumiditi flebilmente, ma annuisco, tranquillizzandola con un mezzo sorriso.
Mi sento penetrare dai suoi occhi verdi, i quali indugiano sul mio volto con tale intensità da sgretolarlo in mille conci.
Analizza le mie emozioni con precisione, una ad una, senza tregua, dopodiché mi lascia andare, solo quando è soddisfatta o ci ha rinunciato.

Torna a parlare con animo, trascinandosi leggermente più lontana sul divanetto stretto.
Ad occhio e croce sono trenta centimetri, poco più o poco meno. Potrei colmarli spostando soltanto il ginocchio verso destra, muovendo la gamba o allungando un braccio, invece resto fermo, a fissarli come se fossero un'immensità e non potessi in alcun modo oltrepassarli.

Siamo su due versanti totalmente opposti.

Ho bisogno di aria. Non riesco a capire cosa mi succeda. Mi sento soffocare, qui dentro.
Il locale è troppo stretto, le luci troppo soffuse e il parlottare delle persone troppo alto.
Mi sento improvvisamente piccolo come un sasso.

«Vado a fumare una sigaretta» proclamo, avvicinandomi quel che basta per farmi sentire solo da lei.

Si interrompe nuovamente, lanciando un'occhiata al mio piatto pieno, poi ai suoi amici. Si sta scusando con loro per me.
Per cosa? Non lo so. Mi interessa? No.
Ha importanza? Non più.

Mi guarda con ardore, chiedendosi il perché di questo mio atteggiamento.
«Ma abbiamo appena iniziato. Si raffredderà».

Scuoto il capo, «Ci metto due minuti».

Non riesco proprio a resistere. Se non me ne vado, non ci sarà più una via di ritorno ed esploderò davanti a tutti quanti.
Ho bisogno di restare solo per almeno cinque miseri minuti.

Annuisce con pochissima convinzione, e proprio quando sento finalmente di poterle sfuggire, lei mi afferra con due dita il colletto della camicia, tirandola e facendosi vicina.
I nostri volti quasi si scontrano, tanto che sento il suo respiro liberarsi sulle labbra secche. Mi fa tremare le ciglia, increspare la pelle, arretrare il collo.

Ha le guance rosse e i capelli biondi le sfilano attorno, conferendole un'aria angelica.
Il suo viso è vitreo, puro e freddo. Si è ravvivata gli occhi con un tocco di brillantini sulle palpebre. Mi concentro su di loro, rinunciando alla malsana idea di contarli uno alla volta giusto per non sentire l'agitazione montarmi nel petto.

Cerco di leggere il suo modo di fare, di capire le sue intenzioni, quindi mi avvicino ulteriormente, socchiudendo gli occhi quando sono ad un ticchettio di orologio dal baciarla.
Forse mi farà sentire meglio. Senz'altro, lei è sempre stata la mia cura contro ogni cosa brutta mi accadesse o pensassi. Lei mi ha sempre fatto bene al cuore.
Funzionerà anche questa volta. È da tanto che non ci baciamo.

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora