EXTRA - Cheslav (parte II)

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Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 21 febbraio 2015

Mi mancava il tempo atmosferico di Medellín. Nonostante l'umidità che penetrava nelle ossa e il caldo insostenibile, era meglio della dannata neve che continuava a cadere dalla sera prima su Mosca.

Detestavo la sensazione dei fiocchi ghiacciati che si intrufolavano nella giacca, pungolando la pelle esposta del collo e inzuppando i capelli. Rabbrividii a causa di una folata di vento e strofinai le mani guantate sulle braccia.

Controllai l'orologio da polso. Stavo aspettando uno dei miei clienti più fidati da, ormai, quindici minuti. Sapevo che Miloslav era ritardatario di natura e che probabilmente era occupato a spararsi del Sapfir nelle vene, rinchiuso in quel porcile del suo monolocale o in qualche bordello. Forse si era scordato del nostro appuntamento settimanale.

Valutai se fosse il caso di chiamarlo o meno, quando vidi una figura incappucciata avanzare nella mia direzione. Ipotizzai che fosse Miloslav, ma quando fu abbastanza vicina e notai le lunghe ciocche nere che scappavano dal cappuccio non ebbi alcun dubbio sulla sua identità.

«Che ci fai qui, niña? È pericoloso» la rimproverai, senza nemmeno salutarla.

Maybelle Holsen puntò le sue pietre cerulee sul mio volto e assottigliò le palpebre. «Guarda che sono addestrata. Sei tu quello che stava per farsi ammazzare, la settimana scorsa.»

Be', non aveva tutti i torti. Riportavo ancora le cicatrici dei pugni sugli zigomi e non potevo sfiorare il naso senza sussultare per il dolore. A causa del mal di testa che mi aveva tramortito, non ero uscito dalla roulotte fino a due giorni prima, per riprendere a lavorare.

«Cosa ti serve?» arrivai al punto.

«Ho finito il Sapfir. Ne voglio altro.»

Eccola, la classica battuta dei clienti in astinenza. Aveva un suono tremendo, pronunciata da una ragazzina minuta come lei.

«Cómo diablos hai fatto a consumare tutta quella roba in cinque giorni? Sarebbe dovuta bastarti per altri due o tre.»

Si strinse nelle spalle, leggermente imbarazzata. «Dopo aver fumato la prima sigaretta, ho dormito bene come non succedeva da anni. Ho provato una sensazione di relax strana, ma era paradisiaca. Allora ne ho fumata una anche la mattina seguente e ho dato il meglio di me durante la giornata.»

Increspai le sopracciglia. «Non dovevi dividere le dosi con tuo fratello?»

«Gliel'ho proposto e ha rifiutato. Peggio per lui.»

Ingenua, volevo dirle. Piccola e stupida ingenua, ignara delle vere conseguenze di quella merda.

«Se vuoi altra roba, dovrai pagarmi» dichiarai, però.

Ero pur sempre uno spacciatore e il mio mestiere era attirare persone disperate come lei, in cambio di un bel gruzzolo di denaro. Dovevo procurarmi da mangiare in qualche modo, no?

«Non ho soldi» ammise, lo sconforto negli occhi. «Ti prego, Cheslav, ne ho bisogno. Non voglio più svegliarmi urlando nel cuore della notte.»

«Mi dispiace, niña, ma se non mi paghi non posso darti niente» la informai, schietto. «Se non hai soldi e vuoi così tanto un po' di polvillo de hadas, trova un'altra moneta di scambio.»

La sua proposta arrivò completamente inaspettata: «Che ne dici di me?».

«Spiegati meglio» la esortai.

Avevo capito benissimo, in realtà.

«Intendo il mio corpo. Abbiamo la stessa età, no? Che male può farci, un po' di sesso tra amici?»

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