Capitolo 35

427 29 165
                                    

Bentrovati, readers ♡

Dato che sono passati due mesi dall'ultimo capitolo (sono imperdonabile, lo so), vi consiglio di rileggere il breve riepilogo che ho scritto all'inizio di quello precedente. In più aggiungo qualche dettaglio che dovete tenere a mente, per non perdere il filo sempre più intricato della trama:

- Seguendo Wera fino a una gioielleria e parlando con la proprietaria, May e Connor hanno scoperto che collabora con Sidorov, dato che ha acquistato un anello con un bonifico a nome dell'imprenditore;

- A fare le rappresaglie non ci sono solo i poliziotti russi, ma anche gli agenti federali americani.

Se avete dubbi, non esitate a chiedere. Buona lettura!

Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 9 dicembre 2019

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 9 dicembre 2019

Sangue ovunque.

È la prima cosa che noto. Cammino con andatura incerta lungo il sentiero della serra della Villa e mi trovo circondata dai papaveri blu coltivati tra le pareti di vetro. Non ricordo come sono finita proprio in questo luogo: percepisco una fitta nebbia che mi stordisce i pensieri, azzerando le capacità di ragionamento.

Mi sento così frastornata che dubito della concretezza della scena che si presenta tutt'intorno a me, eppure l'odore pungente è inconfondibile. Grazie alle fredde luci artificiali che illuminano l'ambiente, attribuendo all'atmosfera un velo di inquietudine, riesco a distinguere le macchie cremisi che sporcano le corolle dei fiori. Le gocce scivolano dai petali blu, formando pozzanghere sul pavimento e producendo un ticchettio che rimbomba nella serra deserta.

Non saprei spiegare da dove proviene tutto questo sangue; è uno spettacolo macabro e privo di ogni logica. Forse è un'allucinazione frutto della droga che mi avvelena l'organismo, l'unica ragione del mio attuale stato di confusione mentale. Procedo un passo dopo l'altro, ma ho l'impressione di galleggiare sulla superficie di un oceano in tempesta, sopraffatta dalle onde che lottano per affogarmi.

Giungo al centro della serra, nel punto in cui la cupola che sormonta il soffitto si erge verso il cielo notturno. Osservo l'ambiente circostante, infestato dai fiori sanguinanti che mi scrutano come occhi malevoli. Un brivido di terrore mi serpeggia lungo la schiena, un presentimento negativo che mi fa tremare le membra.

Ho la percezione che stia per accadere un evento funesto, ipotesi confermata dalla pistola che stringo tra le dita. Non rammento nemmeno di averla impugnata, ma l'arma - che un tempo apparteneva a mio padre - è ben salda nella mia mano.

«Guardami, May» mi richiama una voce fin troppo famigliare, che echeggia nell'aria con il suo timbro spettrale e gelido.

Sposto l'attenzione di fronte a me e riconosco Danny. Mi fronteggia, anche se non l'ho visto arrivare da nessuna parte, e le sue iridi limpide mi fissano con inspiegabile crudeltà. A causa dei sensi ottenebrati, ci impiego qualche secondo di troppo ad accorgermi delle condizioni pessime in cui è ridotto mio fratello: i suoi vestiti sono strappati, le braccia segnate da linee profonde da cui sgorgano copiosi rivoli di sangue, il viso stravolto e imbrattato di lacrime.

Il Ghetto ZaffiroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora