Capitolo 30

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Se vi piace ascoltare la musica mentre leggete, vi consiglio Someone to Stay per l'ultima parte del capitolo.

Buona lettura ♥️

Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 29 novembre 2019

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Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 29 novembre 2019

Non appena rientrai a Villa Zaffiro, mi precipitai nella mia stanza, bisognosa di una doccia gelida e di qualche ora di meritato riposo. Avevamo lasciato il ricevimento in modo sbrigativo, preoccupati di cadere in un'altra imboscata, soprattutto dopo aver scoperto che l'FBI era coinvolta negli affari di Sidorov e che era incaricata di proteggerlo dalla minaccia della mafia. Avevamo rischiato grosso, accettando l'invito all'inaugurazione, ma la missione si era rivelata piuttosto proficua per le nostre indagini.

Quando avevo consegnato a Egor il documento che descriveva quella collaborazione, con il logo dell'FBI, il vory mi aveva confessato che già sospettava di un probabile coinvolgimento dell'intelligence americana. Era sicuro che fossero i federali a sequestrare le sue attività e il suo patrimonio, poiché cercavano di smantellare il Ghetto da decenni in nome della giustizia.

Lo sapevo bene io, che mi ero ritrovata orfana a causa dei tentativi dei miei genitori di catturare lo stesso uomo per il quale adesso lavoravo. Per un fugace attimo mi chiesi cosa ne avrebbero pensato, ma poi mi resi conto che era una questione inutile da porsi: mamma e papà erano morti, non avrebbero mai scoperto che razza di assassina fossi diventata, ed era meglio così. Non ne sarebbero stati fieri, vista la loro indole altruista e la loro incorruttibile morale. Mi ripetei che ogni mia azione era finalizzata a garantire l'incolumità di Danny, non importava quanto spregevole fosse.

Entrai in camera e, come mi aspettavo, Danny era ancora sveglio, intento a leggere uno dei suoi libri preferiti. Non era neanche mezzanotte e mio fratello aveva l'abitudine di non addormentarsi fino al mio ritorno dalle missioni, per accertarsi che non mi fosse accaduto niente di male. Gli regalai un sorriso stanco ma affettuoso, di quelli che concedevo soltanto a lui, e mi sedetti sul bordo del suo letto.

«Sembri stremata» furono le prime parole che mi rivolse, mentre chiudeva il romanzo e lo appoggiava sul comodino. Le sue iridi color acquamarina, la stessa identica sfumatura delle mie, mi studiarono a fondo. «La missione è andata bene? Avete trovato quello che cercavate?»

Annuii e incrociai le gambe sul materasso, per stare più comoda. Emisi un sospiro di sconforto, perché il macigno che mi affossava il petto non era dovuto al mio lavoro, bensì alla discussione avvenuta tra me e Connor. Mi sentivo tremendamente in colpa per come lo avevo trattato e per la cattiveria delle mie parole. Non si meritava di essere definito insignificante, non meritava la mia falsa indifferenza né la mia crudeltà ingiustificata.

«Sì, la missione è andata a buon fine. Il problema è un altro» confessai, tentennando.

Era da tempo che non mi aprivo con Danny riguardo gli avvenimenti che mi tormentavano. Nell'ultimo periodo avevo notato che il suo umore era più sereno del solito, motivo per cui non volevo tediarlo con le mie preoccupazioni superflue. La tranquillità di mio fratello veniva sempre al primo posto, al di sopra del mio stesso bene.

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