Capitolo 22

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Ekaterinburg, Siberia Occidentale, 14 novembre 2019

Atterrammo a Ekaterinburg nel tardo pomeriggio, in seguito a poco più di due ore di volo sul jet privato di Egor. Lasciammo il veicolo in custodia a un uomo del luogo che si proclamava conoscente del vory e, per prima cosa, ci dirigemmo in albergo con un taxi.

L'hotel era una misera pensione a tre stelle situata nella periferia della città, nei pressi della taiga siberiana, tagliata dal corso del fiume Iset'. Dato che non potevamo dare troppo nell'occhio e che la mafia di Ekaterinburg controllava le strutture che apportavano i guadagni maggiori, evitammo i resort di lusso. Un gran peccato, ma in fin dei conti non mi dispiaceva il paesaggio naturale che si intravedeva dalla finestra della mia camera.

Condividevo la stanza con Larysa, che ultimamente non era di grande compagnia. Per tutto il viaggio era rimasta in silenzio, a guardare il cielo plumbeo oltre il finestrino, persa in chissà quali riflessioni. Quasi non mi sentì, quando la informai che dovevamo scendere nel parcheggio per discutere del piano d'azione.

Arrivammo per ultime e ci aggregammo al gruppo composto da due sicari veterani e gli unici novellini rimasti, Connor e Isidora. Mi obbligai a non incrociare lo sguardo di Reed. Avevo deciso di cancellare dalla memoria quel momento in palestra e di non avvicinarmi più a lui, perché disintegrava la mia razionalità con un semplice sfioramento. Non dovevo permettermi distrazioni di alcun tipo in missione, o avrei messo l'intera squadra in pericolo e impedito la buon riuscita del piano.

«Il nostro obiettivo è l'organizzazione dei Grandi Urali, la banda criminale più potente della città» spiegò Demid, il veterano che avrebbe comandato i nostri spostamenti e le nostre azioni. «La banda si ramifica in tre sottogruppi: gli Uralskaya, i Centralen e i Blues. Noi ci divideremo in altrettante coppie e daremo la caccia a una fazione diversa. Per attirarli in trappola, attaccheremo la fabbrica di impianti industriali Uralmash e le sue varie filiali, in quanto attività più importante gestita dai mafiosi di Ekaterinburg. Prima o poi il boss uscirà allo scoperto e, a quel punto, dovremo semplicemente ucciderlo.»

Aslan Tsyganov, il vory dei Grandi Urali, era il nostro vero obiettivo. Lui ed Egor si erano scontrati durante un'asta a San Pietroburgo, un paio di mesi prima, dove si erano contesi alcune prostitute. Tra le donne in vendita c'era anche la piccola Emma, la ragazzina che io e Connor avevamo liberato. Egor aveva vinto l'asta e, secondo lui, la chiusura dei bordelli del Ghetto era opera di Tsyganov, come segno di sfida e di vendetta nei suoi confronti.

Quella era la storia che ci aveva raccontato, ma ero convinta che in realtà volesse soltanto approfittarne per indebolire un'organizzazione nemica e che non avesse la minima idea di chi si nascondesse dietro le denunce anonime. Se il colpevole era davvero Tsyganov, lo avremmo scoperto presto.

«Ricordate che dovete solo generare un po' di scompiglio, per ottenere l'attenzione dei nemici. Non voglio carneficine, non finché non troviamo il vory» ordinò Demid, il tono intransigente e l'espressione severa. «Ritroviamoci in hotel tra due ore. Cercate di non farvi vedere né dagli sbirri né dai civili.»

Annuimmo come soldatini obbedienti e ci dividemmo in tre coppie, ognuna incaricata di rintracciare un sottogruppo specifico della banda: a me e Larysa fu assegnata la fazione degli Uralskaya. Dalle nozioni ricavate grazie alle spie di Egor, appresi che i membri di quella categoria dei Grandi Urali erano particolarmente forti e violenti, esperti di omicidio su commissione, rapimento e traffici illegali di materiale che ricavavano dalla fabbrica Uralmash. L'azienda metallurgica, la cui sede centrale era collocata nel distretto nord della città, era la nostra destinazione.

Armate di pistole e coltelli ben celati sotto gli abiti pesanti, ci incamminammo lungo le strade imbiancate di Ekaterinburg, con la neve che cadeva fitta sulle nostre teste e il vento che ci ostacolava. Non dovevo dimenticare che ci trovavamo nella gelida Siberia, sul confine tra Europa e Asia, e che in confronto il clima di Mosca poteva definirsi tropicale.

Il Ghetto ZaffiroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora