Capitolo 19

1.3K 70 209
                                    

Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 7 novembre 2019

Non avevo mai creduto nel sesto senso e nei presagi, ma quando quella mattina mi svegliai ebbi un presentimento negativo. Percepii l'inquietudine strisciarmi tra le membra, e il motivo non era soltanto il cerchio alla testa o la nausea che mi serrava la gola.

Non ci diedi peso, in un primo momento. Mi alzai a fatica dal letto, cercando di non svegliare mio fratello, e mi chiusi in bagno a rigettare persino l'anima. Quello era uno dei post-sbornia peggiori che avessi mai avuto. Nemmeno la doccia gelida riuscì a riscuotere la mia mente intorpidita dalla sonnolenza. Mi sentivo come se un branco di animali selvaggi schiamazzasse nei miei timpani, provocando una serie di lancinanti pulsazioni al cranio.

Avevo decisamente esagerato, la sera precedente, e non ricordavo neanche perché avessi bevuto così tanto.

Scesi al piano terra, diretta in cucina per mettere qualcosa sotto i denti e placare lo stomaco in subbuglio. E quando svoltai nel corridoio, capii perché mi ero svegliata con quella strana agitazione addosso.

Davanti all'ingresso della Villa sostavano Egor e una donna che non credevo di aver mai visto, con i capelli neri cortissimi e la carnagione olivastra. Indossava un tailleur elegante color sabbia e parlava in modo fitto e discreto con il boss. L'espressione sul volto di Egor non era inflessibile come al solito; i lineamenti erano piegati in una smorfia preoccupata che non lasciava presagire niente di buono.

Il vory del Ghetto non era mai stato così palesemente turbato, da quanto ne avevo memoria. Doveva essere accaduto qualcosa di grave.

Feci per tornare indietro, non volendo interrompere la conversazione, ma la mia andatura era paragonabile a quella di un elefante in una cristalleria. Sbattei il fianco contro il bordo un tavolino, sul quale era posato un vaso di vetro colorato che si schiantò al suolo, distruggendosi in mille schegge.

«Fanculo!» sbottai a bassa voce.

Ovviamente, attirai gli sguardi di Egor e della donna che lo accompagnava. Il vory mi squadrò dalla testa ai piedi, poi rivolse un ordine in russo alla sua collaboratrice, la quale uscì dal portone spalancato senza replicare, e si avvicinò a me.

«Tolgo subito il disturbo.» Mi voltai per andarmene, tuttavia Egor mi richiamò.

«Aspetta, Maybelle. Ho un compito per te. Stavo giusto venendo a cercarti.»

«Di cosa si tratta?» domandai, scettica. Quell'affermazione significava che presto mi sarei cacciata in un altro guaio, me lo sentivo.

«Stanotte è avvenuta una rappresaglia nel Ghetto. La polizia giudiziaria ha fatto irruzione nel Zolotoy Glaz, con un mandato di perquisizione. Hanno scoperto il casinò illegale e hanno trovato abbastanza materiale per chiudere il locale e arrestare metà degli uomini presenti. Stanno indagando sul luogo per raccogliere altre prove» spiegò, breve e conciso.

Percepii le mie palpebre spalancarsi per lo sconcerto. Un raid della polizia era l'ultima notizia che mi sarei aspettata di sentire. Il motivo era semplice: le forze dell'ordine non osavano mettere piede nel Ghetto. Il numero di poliziotti corrotti da Egor era maggiore di quelli che rappresentavano un rischio per il suo impero criminale. Era una verità che avevo appreso durante quegli anni di reclusione, arrendendomi al fatto che nessuno avrebbe liberato me e mio fratello da quel quartiere di merda.

Inoltre, Egor aveva stabilito un tacito accordo con gli abitanti del Ghetto: loro avrebbero mantenuto il silenzio riguardo le attività illecite che si svolgevano sotto il loro naso e lui avrebbe offerto le sue risorse alla comunità. Chi si ribellava poteva sperare solo di non essere scoperto, oppure sarebbe andato incontro alla sua furia omicida. La potenza e la fama del vory era accresciuta anche - e soprattutto - grazie all'omertà delle persone. Sembrava assurdo che, per una volta, la giustizia avesse avuto la meglio.

Il Ghetto ZaffiroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora