Capitolo 23

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Ekaterinburg, Siberia Occidentale, 15 novembre 2019

L'autobus ci lasciò nel distretto orientale di Ekaterinburg e proseguimmo a piedi dalla fermata alla fabbrica Uralmash, dove avremmo dato la caccia al sottogruppo dei Blues. Durante il breve tragitto, io e Connor non accennammo neanche per sbaglio alla precedente conversazione, né al suo desiderio di baciarmi o al mio rifiuto. Dovevamo tenere alta la guardia e la concentrazione, rimuovendo dalla mente tutto ciò che avrebbe potuto distrarci dall'obiettivo. Non era il momento giusto per abbandonarsi ai sentimentalismi.

«Qual è il piano?» mi domandò Reed, una volta giunti in prossimità dei cancelli della fabbrica. Stavolta non c'era nessuno a sorvegliare l'ingresso, poiché si trattava di una delle filiali meno importanti.

«Dobbiamo sabotare qualche macchinario, per rallentare la produzione. Non dovrebbe essere così complicato, se stiamo attenti a non farci vedere» stabilii, passandogli un set di munizioni e una bandana nera da avvolgere intorno alla nuca. «Per proteggerti dalle polveri tossiche.»

«Dobbiamo eliminare anche i membri dell'organizzazione?» mi chiese Connor, intanto che copriva il naso e la bocca con il pezzo di stoffa.

«Solo se è necessario e se siamo minacciati direttamente. Confido che tu non sia un pazzo omicida come la mia ex partner» risi in tono amaro, senza alcuna sfumatura di divertimento, ripensando alla strage compiuta da Larysa il giorno precedente.

Notando Connor in difficoltà con la bandana, mi sporsi per aiutarlo a stringere il nodo dietro la nuca, infilando le dita tra i suoi capelli morbidi. Lui immobilizzò i muscoli e lo sentii trattenere persino il fiato. Io, invece, indugiai per qualche istante vicino al suo corpo, che mi trasmetteva un piacevole calore in quella gelida giornata di neve.

Mi scostai e mi presi un attimo di tempo per osservarlo. Vestito di pantaloni militari e giubbotto antiproiettile sotto alla giacca nera, armato di pistola semiautomatica e con quel lembo di stoffa a celare metà volto, lasciando visibili soltanto le vispe iridi nocciola dietro alle lenti degli occhiali, appariva davvero come un criminale. A dispetto dei suoi valori morali, mi ritrovai a pensare che in quei panni stesse divinamente.

«Andiamo. Useremo le scale antincendio per salire all'ultimo piano e da lì scenderemo fino alla zona di assemblaggio» ordinai, sollevando la mia bandana fin sopra al setto nasale e distogliendo lo sguardo dalla figura di Reed, mio malgrado così attraente da abbindolarmi.

Calpestammo il tappeto di neve e aggirammo il perimetro dell'edificio, diretti alle scale antincendio sul retro. Iniziammo a salire i gradini di metallo ricoperti da uno strato di brina, cercando di produrre il minimo frastuono e di non scivolare sul ghiaccio, ipotesi più che possibile. Arrivammo in cima e riuscimmo ad accedere senza intoppi nella fabbrica, grazie alla porta di vetro socchiusa. Ci ritrovammo in un corridoio stretto che sfociava su una balconata; nell'aria risuonavano i rumori acuti e persistenti dei macchinari in azione, che già dopo pochi secondi mi infastidivano i timpani.

«Dividiamoci, io a destra e tu a sinistra. Manomettiamo qualche arnese e usciamo in fretta da questo posto» decretai, facendo scattare la sicura del fucile a pompa corto. «Evita le centrali di energia e le valvole di pressione, altrimenti il meccanismo esploderà. Un proiettile dritto negli ingranaggi dei pistoni sarà sufficiente a bloccare tutto.»

Connor annuì, lo sguardo serio. «Sta' attenta. Ritroviamoci qui e fuggiamo, se la situazione si complica.»

Percepii uno spillo che mi pungolò il cuore, una pugnalata dal sapore dolce tra le costole. Mi piaceva quando mi chiedeva di stare attenta, quasi come se non avesse potuto tollerare l'idea che mi arrecassi danno o soffrissi. Eppure pronunciava quelle due parole in modo sereno, con chiara fiducia nelle mie capacità, e non con la paranoia a sporcargli la voce. Era certo che me la sarei cavata, perché alla fine ci riuscivo sempre, ma si premurava comunque di ricordarmelo.

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