14esimo capitolo: Austin

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NOTA BENE: SI LO SO, HO PUBBLICATO DI NUOVO IN RITARDO, E MI SCUSO, MA COME DICO DA SEMPRE, VADO AD ISPIRAZIONE E ULTIMAMENTE SONO ANCHE OCCUPATA TRA LAVORO E TUTTO IL RESTO! Nella storia, siamo in un momento un po' particolare di stallo e non, quindi non è semplicissimo andare avanti a volte! Come sempre, spero possa piacervi il Capitolo! Buona lettura, Giulia :) 


Ero una persona felice. Non era facile dire una cosa del genere, tantomeno pensarla ed esserne sicura, ma ero una persona felice. Avevo tutto quello che volevo, una casa, una famiglia, un lavoro e una ragazza che amavo alla follia.

C'erano però due cose, nonostante la felicità che mi pervadeva ogni volta che pensavo a Sue, che non mi rendevano del tutto serena: Austin e il libro.

Austin, non mi parlava ormai da un mese. Avevo provato tante volte a parlargli, non volevo che tutto si spegnesse, volevo che lui capisse che non era una cosa passeggera, che non potevo sotterrare l'amore che provavo per Sue, che non era una storia che si ripeteva: con la sua ex era stata una notte di sesso, da ubriache marce.

Con Sue tutto era diverso.

Ma lui scappava sempre, diceva che aveva da fare, svicolava, se poteva non cenava nemmeno con noi quando sapeva che io fossi presente. I miei genitori stavano cominciando a capire qualcosa, anche se non sapevano che io e Sue stessimo effettivamente insieme. Non lo sapevano perché per ora volevamo evitare di coinvolgere altre persone, soprattutto sapendo quanto Austin fosse ferito, e sbandierare la nostra felicità non ci sembrava il caso.

Il pensiero di farlo soffrire mi seguiva tutti i giorni, prima di andare a dormire e appena sveglia, ma nonostante quello non riuscivo a sentirmi in colpa. Sue era troppo importante per me, non potevo perderla.

Mi ero decisa però, in quella Domenica di mattina libera per tutti, che avrei definitivamente fatto qualcosa per chiudere quella discussione, anche se non sapevo come.

Osservai, mentre mi alzai dal letto, il portatile appoggiato sulla scrivania. Dovevo leggere, leggere quello che avevo scritto. Quello, era il secondo pensiero che mi tormentava. Mi sentivo così stupida, avevo buttato giù quelle parole così, di getto, e non sapevo veramente come dirlo, ma ero in trance. Una trance particolare, una trance che non ti fa mangiare, che ti fa restare viva solo per scrivere. Cancelli tutto nel frattempo, lavoro e amicizia, e ti butti, e speri di risalire.

Avevo paura di aprire quel maledetto file, per scoprire che avevo buttato una settimana a scrivere male e cose senza senso. A quanto pareva, non ero una persona poi così tanto coraggiosa.

Scossi la testa, maledicendo me stessa, infilai le ciabatte e scesi a fare colazione. Forse avrei potuto farlo leggere a Sue, forse. Non avevo paura che lei mi giudicasse, sapevo che non l'avrebbe fatto, e mi avrebbe magari dato due consigli. Non era però così facile esporsi, mettersi a nudo di fronte a chi si ama. Nonostante tutto.

Scesi in sala da pranzo, c'erano tutti ma niente Austin.

"Buongiorno! Austin non c'è?" Chiesi ai miei genitori che stavano già discutendo di lavoro.

"E' in camera sua" mi rispose noncurante mio padre. Senza dire niente, mi decisi a salire al piano di sopra perché non potevamo andare avanti in quel modo. Cominciai a bussare, inizialmente delicatamente. Quando capii che era sveglio e che non mi voleva aprire, lo feci più bruscamente, chiamandolo.

"Austin apri questa porta, dobbiamo parlare e risolvere!!"

Niente, non ci furono risposte.

"Austin!" Tentai di non farlo troppo ferocemente affinché i miei non sentissero i colpi di sotto, ma non era semplice.

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