12.

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Becky non aveva chiuso occhio. Erano passate ore da quando Marcus l'aveva lasciata lì ad arrovellarsi il cervello e non sapere cosa stesse accadendo a Jenna le metteva un'ansia immensa.
Il pavimento della stanza per poco non si era consumato sotto il via vai dei suoi passi. Nella mente aveva già escogitato otto piani e tutti erano stati accantonati perché troppo rischiosi.
Poi di punto in bianco si fermò. Un rumore sordo proveniente da dietro la parete mobile aveva catturato la sua attenzione.
Corse e battè i pugni contro di essa, gridando il nome di Jenna, ma non ci fu risposta. Vi posò l'orecchio nella speranza di riuscire a sentire qualcosa. Nulla. Pensò di essere diventata pazza e si lasciò scivolare contro la parete, per finire seduta sul pavimento, e si prese la testa tra le mani.
All'improvviso la porta della sua stanza fece un click e balzò in piedi. Marcus entrò con un tablet fra le mani e Becky sentì un brivido lungo la schiena.
«Voglio vedere Jenna», esigette con sguardo duro.

«Siediti», ribattè lui, «o devo legarti alla sedia?»

Becky era tentata di controbattere, ma alla fine si sedette e incrociò le braccia. «Scusa se non ti offro un caffè, ma sai, non sono potuta uscire a fare la spesa», fece spallucce.

Marcus la ignorò e continuò a trafficare col suo tablet. «Fossi in te la smetterei di fare la spiritosa.» Lo girò nella sua direzione.

Becky sbarrò gli occhi e scattò in piedi. «Pezzo di merda!» gli diede un pugno in pieno volto, procurandogli un taglietto allo zigomo.
Lui si ripulì e bloccò un altro pugno in arrivo.
Becky sgattaiolò alle sue spalle e lo colpì dietro al ginocchio, facendogli perdere l'equilibrio, poi gli strinse un braccio intorno al collo.

Marcus faticò a respirare, ma si liberò ancora una volta dalla stretta. «Ti consiglio di smetterla o peggiorerai solo la situazione», disse pacato.

Becky, dal canto suo, era furiosa. E non riusciva più a starsene con le mani in mano. «Tu non sai come mi vendicherò per questo.»

«L'unica responsabile di questo sei tu. Sai cosa fare per mettere la parola fine a tutto.» Sollevò il tablet e le mostrò ancora una volta l'immagine di Jenna, bendata e legata a una sedia, fradicia dalla testa ai piedi.
Premette il tasto play e iniziò la riproduzione del video.

Jenna tremava e piangeva, pregandoli di smettere. Più di una volta aveva gridato il suo nome. Becky chiuse gli occhi e una lacrima le rigò il viso.
Poi il video s'interruppe.

«Sai di cosa sono capace. Questo è nulla in confronto a quanto le accadrà se non mi dici dove si trova Kathleen.»

«Cosa cazzo ti è successo? Mi hai chiamata sorella un milione di volte», scosse il capo sopraffatta dal dolore, «come puoi farmi questo?»

Marcus rivolse lo sguardo altrove. «Tu non sai nulla. Dovresti tornare con i piedi per terra.» Si rimise in piedi. «Ti do tempo fino a domattina.» Lasciò la stanza e portò con sé il tablet.

Becky si chiese cosa avesse voluto dire. Perché non poteva essere più specifico? Si torturò con i sensi di colpa e sperò che quando tutto fosse finito, Jenna non l'avrebbe odiata a tal punto da non volerne più sapere di lei. Al solo pensiero sentì un pugno allo stomaco. Doveva tirarla fuori da lì al più presto.

Se era Kathleen che volevano, gliel'avrebbe data. Non avrebbe più rischiato la vita di Jenna.

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