Voce del Dio

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Quando finalmente tornammo in piazza, la trovammo gremita di fate. Risate sguaiate e bassi tamburi facevano da sottofondo ad una festa in piena regola: immensi boccali colmi di liquido ambrato – che ricordava tremendamente il sidro che bevevano le fate di Finvarra nei tumuli – venivano passati di mano in mano, danzatrici e danzatori in abiti succinti ballavano sulla sommità dei tavoli e mangiatori di spade intrattenevano il pubblico a qualche metro da noi.

Mi guardai intorno con espressione stupita, sorpresa di trovarmi di fronte a quella che pareva una festa medioevale in piena regola, e il mio sguardo attento individuò rapidamente un palchetto vicino all'ampia scalinata che portava a palazzo, sul quale era disposta la tavolata di Alastair. Al suo fianco, diverse fate brindavano e celebravano allegre, facendo tintinnare le coppe e ridendo alla luce delle torce, mostrando senza remore i canini affilati.

«Finalmente! Dove diavolo siete state?».

Trasalii dallo spavento e mi sottrassi alla mano che mi aveva afferrata per la spalla, indietreggiando di un paio di passi.

«Mi hai fatto prendere un colpo» borbottai poi, riconoscendo con qualche secondo di ritardo Labhraidh.

«Non puoi capire, Row, una cosa assurda!» strepitò il mio migliore amico, prendendomi sottobraccio e riportandomi vicino agli altri.

«Era una cerimonia tutta misteriosa, con tanto di gente incappucciata e coppe piene di sangue. Sembrava di essere fra i Massoni» sproloquiò Labhraidh, su di giri come poche volte l'avevo visto.

«Frena, frena» lo interruppi, «Raccontami tutto. In modo chiaro, se possibile. Non ti hanno morso, vero?» indagai, scura in volto.

«Nah, Donegal ci ha fatto nascondere prima che quelli tirassero fuori i canini» trillò Labhraidh, allegro, per poi blaterare: «Quando siete andate via hanno iniziato a suonare i tamburi e a cantare litanie oscure, robe che mi hanno fatto sentire... boh, strano. Come se ci fossi e non ci fossi, capisci?».

Gesticolò nell'aria, dondolando sui talloni, e solo in quel momento mi accorsi dei suoi occhi leggermente sgranati.

«Poi sono entrate le ragazze... almeno, credo fossero ragazze, visto che erano tutte incappucciate. E quelli lassù, quei signori vestiti di bianco – credo siano amici di Alastair, o qualcosa di simile - le hanno punte con la lama di un coltello, e poi hanno scelto chi fosse la più... buona? Per gli dèi, che disgusto» concluse, mimando un conato di vomito e ridacchiando divertito.

«Comunque, devi proprio assaggiare questa cosa che bevono qui, è proprio deliziosa!» aggiunse, ficcandomi fra le mani un boccale colmo di sidro fino all'orlo.

Donegal ci si avvicinò con un ghigno stampato in viso: «Io gliel'ho detto di andarci piano, ma non mi ha dato retta» esclamò, facendo spallucce e sorseggiando lentamente dal suo boccale.

«Sei un maledetto ubriacone, Labhraidh!» sbottai ridendo, rubandogli dalle mani l'ennesimo bicchiere e lanciandolo via lontano.

«Almeno io non sono stato male. Rían sì!» ridacchiò lui, additando l'interessato e saltellando sul posto come se avesse due maledette molle al posto delle gambe.

Inarcai le sopracciglia e mi girai verso Rían, che se ne stava in disparte e in silenzio.

Il suo incarnato aveva assunto una sfumatura grigiastra e un velo di sudore freddo gli imperlava la fronte; i suoi occhi grigi, infossati nelle ormai perenni occhiaie scure, erano lucidi, come se si stesse sentendo veramente male.

«Tutto bene?» gli domandai, squadrandolo con perplessità.

«Sì, grazie. Io non ho bevuto, se è questo che vuoi sapere» borbottò, senza guardarmi negli occhi.

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