Morto e Risorto

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Ero avvinghiata ad un corpo caldo e tremante, e i miei denti affondavano nella sua giugulare.

I miei arti erano avvolti come una tenaglia alla mia preda, le mie unghie conficcate nella sua schiena, e l'odore di sangue impregnava l'aria, inebriante come vino d'annata.

Feci un profondo sorso di denso liquido ferroso e poi ne feci un altro, sentendo la vita dell'umano scivolarmi in gola e riempire le mie arterie di potere. Un gemito animalesco mi fece vibrare il petto e una grande mano calda mi carezzò i capelli scuri e setosi.

«Basta, amore» mormorò una voce rauca alle mie spalle e due labbra bollenti mi sfiorarono il collo nudo.

«Ne voglio ancora» ringhiai, affondando nuovamente i denti nel collo del cameriere biondo.

«Se continui così lo ucciderai».

La voce di Rìan alle mie spalle cercava di inculcarmi un po' di senno in testa, ma io ero determinata a portare a termine il mio compito.

Leccai il collo dell'umano e feci le fusa: «Ma io lo voglio uccidere. È proprio questo il punto... voglio il suo sangue fino all'ultima goccia, finché il suo corpo non sarà freddo e inutile».

Rìan mi accarezzò la schiena con un dito, e un brivido di piacere mi infiammò i lombi.

«Ti accontenti di così poco, amore... ti accontenti di uno stupido umano quando potresti avere me» la sua voce melliflua era come balsamo sul mio corpo di fuoco e, quando sentii l'odore del suo sangue diffondersi nell'aria, gemetti di desiderio.

Voltai la testa di scatto e i miei occhi si riempirono di una visione ultraterrena: Rìan era in un immenso letto dalle lenzuola nere, il suo bronzeo corpo nudo coperto solo dal suo sangue, che colava lento da un taglio inciso appena sopra il cuore.

Abbandonai l'umano senza pensarci due volte e, mentre il suo pesante corpo ancora vivo cadeva a terra, io gattonai sulle lenzuola diretta verso la mia preda.

Sbattei un paio di volte le palpebre e, improvvisamente, mi ritrovai fuori dal mio corpo: come nell'incubo precedente, la mia coscienza si era scissa dalla persona e ora io assistevo al sogno come se stessi guardando un dannato film in televisione.

No, non di nuovo!, urlai, non riuscendo a sopportare ancora l'orrore a cui avevo assistito settimane addietro.

Svegliati, svegliati subito!, ordinai a me stessa, cercando addirittura di prendere a schiaffi il mio volto incorporeo da fantasma.

Notando che i miei tentativi si stavano rivelando fallimentari e iniziando ad udire i gemiti – gemiti di dolore, non di piacere – di Rìan, feci l'unica cosa che mi venne in mente.

Chiamai il nome di Lùg.

Urlai a squarciagola, cercando di attirare la sua attenzione lungo il legame che univa il nostro sonno e sperando che, se lui fosse stato addormento, sarebbe stato in grado di raggiungermi e tirarmi fuori dall'incubo.

Per una trentina di secondi temetti di essere costretta a rimanere bloccata in quel sogno in eterno ma, improvvisamente, tutto si fece nero e mi parve di precipitare in un abisso di tenebre.

Gridai mentre cadevo, vorticando le braccia sgraziatamente, poi mi schiantai su un materasso di piume.

Udii uno strappo e mi districai fra le lenzuola squarciate, sputacchiando minuscole piume che mi erano entrate in bocca mentre cadevo e gridavo.

«Hai distrutto il mio letto».

La piatta e incolore voce di Lùg mi raggiunse come dalle profondità di un pozzo, ed io sbattei le palpebre per mettere a fuoco l'ambiente circostante.

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