Segreti

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Mi svegliai sudata, stretta nel lenzuolo di seta che mi avvolgeva come un sudario, con i capelli in bocca e la camicia da notte attorcigliata attorno alla vita.

Avevo sognato fontanelle di sangue zampillare dal collo del bel cameriere che ci aveva servito la cena la sera precedente, il liquido vermiglio che gli imbrattava la livrea bianca. Le mie dita erano scivolate sulle vene bluastre che spiccavano contro la sua pallida pelle color panna e i miei polpastrelli si erano tinti di rosso, mentre le mie narici venivano stuzzicate dal forte odore ferroso del sangue.

Un urlo silenzioso mi aveva squassato il petto e l'incubo si era tinto di rosso, il liquido viscoso che mi impregnava i vestiti, e mi ero svegliata ansimante.

L'odore di sangue era scomparso e, quando finalmente il mio cervello fu in grado di distinguere l'incubo dalla realtà, mi resi conto di come la mia camicia non fosse imbrattata di sangue ma di sudore.

Trovai refrigerio posando i piedi nudi sul freddo pavimento di marmo nero e, per qualche secondo, mi parve di avere un déjà-vu: mi guardai attorno con attenzione e, quando mi resi conto che di Lúg non vi era traccia, tirai un sospiro di sollievo.

Mi dibattei fra le lenzuola per qualche istante, poi riuscii a rotolare completamente giù dal letto e sospirai di piacere nel percepire una fresca corrente d'aria accarezzarmi le cosce accaldate.

Cercai di orientarmi nella stanza buia nel vano tentativo di individuare la maniglia ma, dopo aver picchiato lo stinco e il mignolo contro mobili immersi nell'ombra, mi decisi ad accendere una piccola fiammella.

Le aranciate lingue di fuoco lambirono il mio dito indice e rischiararono l'ambiente, illuminando la stanza che Alastair mi aveva gentilmente offerto la sera precedente, al termine della cena.

La cena era terminata molto tardi, perciò il Principe aveva deciso di ospitarci nel suo palazzo per la notte: ci aveva alloggiati in un'ala disabitata del palazzo, ci aveva procurato vestiti leggeri e comodi e poi era sparito – silenzioso come un gatto – al di là degli spessi portoni di legno massiccio che ci separavano dal resto della reggia.

Aprii la porta, che cigolò sonoramente, e mi avventurai lungo il buio corridoio, illuminato solo dalla luce della luna che filtrava distorta attraverso gli spessi vetri delle finestre.

Il palazzo pareva avvolto nel sonno, silenzioso e immobile, così presi coraggio e mi lanciai alla ricerca della cucina o di un bagno, dove avrei potuto trovare dell'acqua. Setacciando il piano in cui eravamo stati alloggiati, notai, attraverso una finestra, una luce provenire dal gradone inferiore del palazzo, così raggiunsi gli alti portoni oltre i quali era scomparso Alastair qualche ora prima e attraversai la soglia.

Il fresco vento dell'estate mi scompigliò i capelli e mi fece sollevare la vestaglia, ed io inspirai il pungente odore salmastro della salsedine. Rabbrividendo leggermente nel tessuto leggero che indossavo, mi affrettai di sotto, scendendo lungo le bianche scalinate del palazzo. Rientrai all'interno al piano inferiore al mio e cercai di raggiungere la luce che avevo visto accesa, sperando si trattasse della cucina, già attiva per preparare la colazione al Principe.

Purtroppo per me, quando svoltai l'angolo non udii spadellare né tintinnii di bicchieri, ma solo un sommesso confabulare provenire da una stanza dalla porta socchiusa.

«Ieri sera l'hanno sentito tutti, Alastair... Anche Morven e Domhnall, non solo noi» disse la ferma voce della Principessa Daireen.

«Quindi anche loro devono essere coinvolti» borbottò in risposta Alastair e, dal tono cupo della sua voce, compresi che egli non era per nulla soddisfatto della piega che aveva preso la conversazione.

«Non fa piacere nemmeno a me, ma trattandosi di Dagda... loro ne sanno sicuramente più di noi» osservò la Principessa.

«Credi che sia un caso?» domandò sommessamente Alastair.

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