Volere Divino

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Buonaseraaaa!
Il capitolo di oggi è lunghissimo ed è un punto di svolta nella storia... SPERO VI PIACCIA!
Buona lettura🥰

***

«Possiamo entrare? Si sta facendo tardi».

Rìan fu il primo a parlare e, facendolo, spezzò l'incantesimo che pareva essere caduto sul Castello Nero e sui suoi visitatori.

Distolsi gli occhi dal cielo infuocato e li feci scivolare su di lui: il ragazzo, avvolto nel nero mantello tipico di Gorias, aveva un'espressione fiacca e l'aspetto sfatto: i suoi capelli erano annodati dal vento e i suoi occhi lucidi di stanchezza ma, nonostante ciò, mi sorrise quando vide che lo stavo guardando.

«Sciocco mezzo umano» sentii dire da Morven, che era stato in grado di capire ciò che aveva detto Rìan poiché il ragazzo aveva usato una stentata ma comprensibile lingua delle fate, «Non rivedrai mai più una cosa del genere... se fossi in te terrei gli occhi incollati al cielo per i prossimi tre giorni».

Rìan fece spallucce e si avviò nella mia direzione, seguito immediatamente da Grania, che, fino a quel momento, era rimasta immobile e in disparte a fissare il cielo, i cui colori parevano incendiare i suoi capelli vermigli.

«Qualcosa mi dice che non sia un caso il fatto che questo bello spettacolino sia iniziato non appena voi siete entrati nel Castello Nero» disse Rìan, studiandomi con apprensione.

«Non lo è. Nulla di tutto ciò è un caso» si intromise Alistair, «Questo è il volere degli dèi, è abbastanza chiaro ormai».

Vidi il viso di Morven incupirsi in una smorfia di disappunto: «È proprio per questo che la cosa non mi piace» borbottò, «Gli dèi non si facevano vedere da millenni, e improvvisamente... tutto questo? Non mi piace».

Lo scetticismo che trasudava dalle sue parole mi fece immediatamente pensare a Lùg: «Voi di Gorias siete stati cresciuti a pane e cinismo sin dalla tenera età, eh?» osservai sarcasticamente.

La mia frecciatina suscitò un ghigno lupesco da parte di Morven: «Solo gli stupidi credono nei miracoli, Rowan, e a me piace pensare di non essere uno stupido».

«Attento a come parli, Principe» ringhiò Alistair, offeso, ma Morven si limitò a sistemarsi la cappa nera e, dirigendosi verso il portone del castello, borbottò: «Andiamo a vedere cosa vogliono questi dèi, allora».

Lo seguimmo tutti alla spicciolata e, prima di infilarmi fra le buie fessure del portone distrutto, lanciai un'ultima volta uno sguardo al cielo infuocato... incredula di fronte a quell'incessante pioggia di meteoriti.

«Allora?» sussurrai una volta all'interno del castello, correndo appresso a Rìan, «Com'è andata la prova di Cittadinanza?».

L'uomo mantenne lo sguardo fisso di fronte a sé: «Bene. L'ho passata».

Attesi che continuasse ma, vedendo che non sembrava intenzionato a proseguire, cercai di spronarlo: «Cos'hai dovuto fare? Era simile alla mia? Si può avere qualche dettaglio in più?».

Rìan si voltò di scatto a fissarmi e sbottò, irritato: «No, Rowan, non si può. È una prova... segreta. Non posso parlarne con il primo che me lo viene a chiedere».

«Ma io...» tentai, bloccandomi però subito dopo: cosa avrei potuto dire, dopotutto? Ma io non ero come gli altri?

«Okay, scusa» mormorai quindi, «Mi dispiace».

Rimasi indietro di un paio di passi e, per l'ennesima volta, mi domandai perché dovessi sempre essere io a scusarmi quando discutevo con Rìan. Avevo fatto una semplice domanda, lui mi aveva risposto male, in modo scocciato, ed io mi ero scusata. Ero stufa di questa dinamica, stufa di sentirmi sempre umiliata per colpa sua. Quante volte ancora avrei dovuto sbattere la testa contro il muro prima di decidere di cambiare direzione?

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