Maledetti pt.1

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Il giorno seguente al Sabbath, io e Labhraidh ci trasformammo nelle perfette guide turistiche per Rian e Grania. Nonostante l'isterica scenata della notte precedente, mi sentii in dovere di mettere da parte l'astio nei confronti di Grania e accompagnare i due ragazzi per le vie di Murias, cercando di far capire loro che essere una fata non significava soltanto bere sangue umano e odiare gli umani.

Le parole che Grania mi aveva rivolto la sera precedente, infatti, mi avevano ferita nel profondo, ma, riflettendoci, ero giunta alla conclusione che la sua spropositata reazione (in primis l'avermi chiamata "puttana delle fate") fosse dettata dalla semplice ignoranza: fino a quel momento, lei non aveva visto altro che crudeltà, sangue e morte... non aveva visto Murias.

Grania non conosceva l'ospitalità dei cittadini di Murias, non aveva mai assaggiato il sidro che offrivano agli angoli delle strade ai viaggiatori, né aveva udito le risate delle fate in piazza, né ammirato le botteghe di vetri colorati. La città di Domhnall somigliava a un allegro borgo medioevale, con l'unica differenza che la magia fluiva fra le vie e le case come sangue nelle vene, parte integrante della vita dei cittadini, e questo era esattamente ciò che io volevo mostrare a Grania e Rìan: la vita tranquilla delle fate, simile sotto numerosi aspetti alla vita che conducevamo tutti noi in Irlanda prima che le cose andassero a catafascio per colpa di Finvarra e di Lúg.

«Qui è dove ci alleniamo al combattimento».

Labhraidh indicò la piccola arena appena fuori dalla fortezza, la voce leggermente smorzata a causa del clangore delle spade che saturava l'aria.

Un paio di soldati lo salutarono mentre passavamo loro accanto e il mio migliore amico ricambiò con un cenno della mano, gongolando per essere stato riconosciuto da due delle guardie personali di Domhnall.

«Quando cala il sole quei due diventano feroci. Di giorno sembrano innocui come gattini, ma la notte si trasformano... tutta Murias si trasforma, in realtà» proseguì il mio migliore amico, camminando baldanzoso sul ciottolato della via principale.

Erano da poco passate le due del pomeriggio e, quel giorno, un pallido sole ancora brillava fra le nuvole biancastre sopra di noi, mentre grosse nubi temporalesche si andavano ad ammassare all'orizzonte, verso il mare, gettando un livido colorito giallastro sulla città. In meno di un paio d'ore, però, la notte sarebbe calata rapidamente e il buio avrebbe invaso Murias, trasformandola in un tripudio di luci e fuochi che avevo imparato ad amare con tutta me stessa.

«La notte a Gorias non è molto... sicura» mormorò Grania, guardandosi attorno con i grandi occhi nocciola sgranati in un'espressione perplessa.

«Noi non siamo mai usciti dal castello dopo il tramonto: Morven ci ha esplicitamente fatto sapere che la nostra sicurezza non sarebbe stata garantita al di là delle mura, e che i suoi cittadini non avrebbero apprezzato la nostra presenza nel loro territorio» aggiunse.

Labhraidh storse il naso: «Ci odiano davvero tanto a Gorias, eh?» borbottò, lanciando un sassolino oltre il parapetto del ponte che stavamo attraversando.

«Se non fosse stato per Lúg, gli umani e i mezzosangue avrebbero distrutto la loro città durante l'ultima guerra, quindi credo abbiano le loro ragioni per odiarci» mi intromisi.

«Noi non c'entriamo niente, però. Non siamo stati noi a bombardare la loro città» mi riprese aspramente Rìan ed io assottigliai le labbra, rendendomi conto di avere effettivamente torto.

«Anche tu hai ammazzato tutte le fate che ti capitavano a tiro, senza chiedere loro se avessero colpe oppure no» lo rimbeccai allora, incrociando le braccia al petto.

«Non è la stessa cosa» si limitò a dire lui, distogliendo lo sguardo da me.

«Invece è la stessa identica cosa» sbottai, rendendomi conto di quanto fosse difficile, per me, sostenere una conversazione con Rìan senza che essa si trasformasse in un confronto o in un vero e proprio litigio.

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