Sabbath pt.1

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«Ciao, Rowan» mormorò Rìan di rimando, osservandomi dalla testa ai piedi con uno sguardo indecifrabile nei chiari occhi grigi.

Sapevo cosa stavano vedendo i suoi occhi: i sandali di cuoio dai lunghi lacci che si avvolgevano attorno ai miei polpacci; il vestito nero dall'ampio spacco laterale che lasciava intravvedere la fascetta di pelle fissata alla mia coscia, alla quale era legato un coltello; la scollatura che metteva in evidenza il medaglione adagiato fra i miei seni; la treccia tradizionale delle fate di Murias, adornata con perle di fiordo... tutto, nel mio abbigliamento, gridava "Cittadina di Murias".

Domhnall mi aveva vestita come una bambolina affinché chiunque mi guardasse capisse immediatamente a quale luogo appartenessi... a chi appartenessi.

«Sei molto...» Rìan esitò qualche secondo, «...Esotica» concluse infine, non trovando parole migliori.

L'esitazione nella sua voce mi fece comprendere che egli non apprezzava granché le modifiche apportate al mio guardaroba, ma la sua opinione non scalfì la mia autostima: io mi ero vista bella nello specchio della mia camera, mi sentivo bella nel mio vestito tradizionale, nei panni di una cittadina, e nulla avrebbe cambiato ciò, nemmeno Rìan.

«Dovresti vedere la sua biancheria, amico» si intromise Labhraidh, prendendomi sottobraccio, «Quella sì che è esotica».

Risi e gli tirai uno scappellotto, stando però ben attenta a non rovinare la sua acconciatura, composta da elaborate treccine legate insieme da nastri di cuoio neri. Anche il mio migliore amico, infatti, era stato agghindato per l'occasione e appariva bellissimo nella sua tunica nera e argentea.

Il sorriso di Rìan non raggiunse i suoi occhi, e il ragazzo cambiò argomento: «Mi sembra che vi siate ambientati piuttosto bene» osservò.

«Direi di sì» confermò Labhraidh, aggiungendo poi: «Voi due, invece, non sembrate molto entusiasti».

I due ragazzi, infatti, apparivano a disagio e taciturni, impacciati nei loro pesanti mantelli neri e guardinghi, quasi come se si aspettassero un attacco da un momento all'altro.

Gli occhi grigi di Rìan solcavano la sala con attenzione quasi maniacale, alla ricerca di potenziali minacce, e le dita di Grania carezzavano il pomello argenteo di una spada, la cui impugnatura spuntava fra le pieghe della cappa.

«Morven è un coglione» sentenziò Grania senza mezze misure, arricciando le rosse labbra in una smorfia di disgusto, «Ci tratta come se fossimo due poveri idioti solo perché non parliamo la sua lingua, e non fa nulla per aiutarci. Ho provato a chiedergli di assegnarci un insegnante, ma lui mi ha riso in faccia. Credo goda nel vederci in difficoltà».

«E i suoi sudditi non sono diversi da lui» si intromise Rìan, «Ci evitano come la peste e, le poche volte che interagiscono con noi, è per attaccare briga. Ho fatto più risse qui in una settimana che in tutta la mia vita» aggiunse, mostrando l'ombra di un livido violaceo sulla guancia.

Aggrottai le sopracciglia: «Credevo che... vista la tua somiglianza con...» esitai, «... con Lùg, le fate di Gorias ti avrebbero – non so – venerato?».

Una risata amara squassò il petto di Rìan: «Venerato?» ripeté, incredulo, «Quelli mi odiano. Credo ci sia qualcosa che non gli piace del nostro sangue, come se fossimo infetti, come se essere dei mezzosangue fosse un peccato mortale. Veneravano Lùg, quello è certo, ma possedere la sua Lancia non è sufficiente ad ottenere il loro rispetto».

«Per lo meno, Morven ti rispetta a sufficienza da invitarti nel suo studio tutte le sere... io non sono altro che un bel faccino, per quell'idiota» si lamentò Grania, ravvivandosi la chioma rosso rubino e lanciando un'occhiataccia a Rìan, il quale distolse rapidamente lo sguardo, con le guance leggermente impallidite.

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