47 - E basta

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Dopo la festa della signora Lina, avevo nuovamente tentato di evitare Guido, ormai era diventata la mia principale preoccupazione, ma il destino non era d'accordo con le mie decisione, infatti mi capitava di incontrarlo più del necessario.

Sulle scale mentre andavo al lavoro, davanti alla porta della signora Lina, proprio nel momento in cui lasciavo il suo appartamento, nell'atrio nell'esatto attimo in cui mi catapultavo fuori dallo stanzino della spazzatura per evitare di toccare qualsiasi cosa.

Non era servito a nulla andare a lavare i miei vestiti nel cuore della notte, o cercare di calcolare quali erano i suoi turni all'ospedale così da programmare le mie uscite al supermercato.

Cosa che comunque non ero stata in grado di fare, quel ragazzo sembrava lavorare sempre a orari diversi e in qualsiasi momento della giornata. E anche della notte.

Ogni volta che ci eravamo incrociati, non gli avevo lasciato nemmeno il tempo di salutarmi, mi ero sempre inventata una stupida scusa ed ero scappata come una codarda.

Non volevo lasciargli la possibilità di chiedermi ancora di uscire, ma sapevo di dover trovare una soluzione a quella situazione.

Una soluzione che sapevo di non volere, ma che evidentemente ero costretta a prendere. Non ero pronta ad aprire il mio cuore a qualcuno, era evidente sia mentalmente che fisicamente.

Ero stanca di quella confusione che provavo costantemente. Stanca della paura che mi attanagliava ogni volta che iniziavo a provare qualcosa. Stanca della mancanza di aria nei polmoni ad ogni suo sguardo.

Ma più di tutto, ero stanca di me stessa. Della mia incapacità di provare qualche emozione.

Le parole di mia madre mi risuonavano continuamente nella testa, i suoi ammonimenti, i suoi insegnamenti, i suoi consigli, ciò che avevo sempre creduto essere ciò che mi rendeva forte, improvvisamente mi aveva reso così debole.

Era tutto sbagliato.

Ero tutta sbagliata.

Così quel giorno al lavoro, mi presentai con lo sguardo assente e poca concentrazione. Sbagliai diversi ordini e rischiai di rompere qualche bicchiere.

Nicola osservava ogni mio movimento e interveniva quando capiva che avevo bisogno di aiuto, ma alla fine della giornata, decise di farsi avanti e mi chiese: "Vic, va tutto bene? Sei più strana del solito oggi"

Sollevai i miei occhi su di lui e sospirai stancamente. Desideravo liberare la mia mente, desideravo smettere di pensare per qualche secondo, desideravo la sensazioni di libertà che avevo provato diverse volte grazie a lui.

Così, quasi spontaneamente, dichiarai: "Voglio tornare a fare bungee jumping"

Nicola sollevò le sopracciglia sorpreso ed esclamò: "Veramente?"

Annuii con convinzione e, dopo che il ragazzo ebbe posato le sue pupille chiari nelle mie, sorrise compiaciuto.

La mia determinazione l'aveva convinto senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Con un gesto fluido, sollevò un braccio al di sopra della mia testa, poggiò il palmo della sua mano sui miei capelli e, compiendo dei delicati movimenti, disse: "Se hai bisogno di un amico, sono qua"

Inizialmente rimasi sorpresa da quella frase, non avevo realizzato che effettivamente, Nicola era mio amico. Forse era il primo vero amico della mia vita, una persona che mi capiva senza bisogno di spiegazioni, una persona con la quale mi divertivo, una persona che non ti abbandonava quando c'era qualche problema.

Ero stata talmente concentrata a tenere Guido lontano dal mio cuore, che mi erano sfuggite altre crepe che si stavano formando all'interno della mia corazza.

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