58 - Senza scarpe

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Era passata una settimana dalla morte di Lina e non avevo ancora pianto. Non avevo nemmeno pensato a lei. Non ero andata al suo funerale. Non avevo provato nulla.

Assolutamente nulla.

Era come se fosse rimasto un involucro vuoto della persona che un tempo era Vic, più simile a quella vecchia, rispetto a quella che stavo diventando.

Avevo passato i giorni lavorando al bar, uscendo per le strade a fare passeggiate che non mi portavano da nessuna parte e restando sdraiata sul letto a fissare il soffitto. Ogni volta che passavo davanti al suo appartamento sul secondo pianerottolo, neanche mi fermavo, nemmeno guardavo la porta.

Lina era scomparsa ma, per come mi sentivo, era come se non fosse mai esistita.

Un giorno stavo tornado a casa dopo il lavoro e avevo appena infilato la chiave nella serratura di casa, quando quella di fronte scattò, catturando istintivamente la mia attenzione.

Mi voltai e notai Guido che usciva da casa sua con le sue solite scarpe da ginnastica ai piedi, la sua maglietta a maniche corte che lasciava scoperte le braccia, i suoi capelli scompigliati. Lo osservai in silenzio e mi resi conto che c'era qualcosa di diverso, io ero diversa.

Il ragazzo sollevò la testa e finalmente mi vide, ferma esattamente dall'altro lato del pianerottolo, le chiavi in mano e lo sguardo vuoto. I suoi occhi si posarono nei miei e, nonostante quello che era successo tra noi, vi trovai tenerezza.

Era dispiaciuto per me, probabilmente sapeva meglio di me come affrontare un lutto, sfortunatamente non ero in grado di capire nulla.

"Vic" sussurrò con voce roca, avvicinandosi a me di qualche passo. Con rammarico, mi resi conto che i suoi occhi, la sua voce, il suo profumo, la sua presenza, non mi facevano alcun effetto.

Non sentivo nulla.

Dentro di me era sparita ogni cosa, ogni traccia di emozioni, ogni determinazione, ogni convinzione.

"Stai bene?" mi domandò lui, portandosi a poca distanza da me, ma io non mi spostai e nemmeno lo guardai.

Cosa avrei dovuto rispondere? Stavo bene?

Il mio silenzio bastò per convincerlo che non ero più in me, sentii il suo sospiro affranto vicino, poco dopo le sue braccia mi avvolsero e mi trascinarono verso di lui, stringendomi forte.

Niente.

"Mi dispiace, Vic" sussurrò al mio orecchio, con voce un po' tremante "mi dispiace per tutto"

Il suo abbraccio si fece ancora più stretto e affondò la sua faccia tra la mia spalla e il collo, cercando di darmi conforto, ma allo stesso tempo di riceverne da me.

Ma io non sentivo niente.

Tutta la sofferenza che avevo sempre cercato di evitare, anche a costo della mia felicità, improvvisamente si era riversata su di me e aveva rotto qualsiasi barriera che avevo costruito, distruggendo ogni cosa dentro di me.

Non ero più in grado di sentire nulla, neanche quando ero con Guido.

Dopo quell'abbraccio sul pianerottolo, i nostri incontri divennero sempre più occasionali, capitava di incrociarsi sulle scale, nell'atrio, ma ci limitavamo a qualche saluto freddo.

Io mi limitavo a qualche saluto freddo. 

Guido aveva cercato di capire come mi sentissi, ma io l'avevo respinto senza spiegazioni. Avevo respinto tutti quanti perché non mi importava più nulla.

***

Era passato quasi un mese dalla morte di Lina e ancora non ero riuscita a elaborarlo. Anzi neanche ci stavo provando, neanche mi interessava provarci.

Avevo semplicemente deciso di fare ciò che mi riusciva meglio di fronte al dolore, ovvero fuggire. Ero scappata da tutto quanto, comprese le mie emozioni ma, dal momento che non ero in grado di gestirle separatamente, la mia testa aveva escluso ogni cosa a priori.

Ero diventata una persona apatica che non solo non viveva, ma quasi non sopravviveva. Qualche volta mi dimenticavo di mangiare, non indossavo più nessuno dei miei vestiti costosi, non sorridevo, quasi non parlavo.

Chiara aveva cercato di coinvolgermi nelle sue uscite, di farmi svagare, ma avevo sempre declinato ogni suo invito, così come avevo fatto con Nicola, che aveva saputo da Martina quanto era successo. Erano tutti molto preoccupati per me, ma non serviva. Io stavo bene.

Non provavo nulla, ma stavo bene.

Questo continuavo a ripetermi, tanto che ormai ne ero convinta.

Ero sdraiata sul mio letto come tante altre volte, impegnata a fissare il soffitto azzurro, chiedendomi come sarebbe stato con un colore più scuro, quando qualcuno bussò alla mia porta.

Mi alzai svogliatamente, sapendo che Chiara non era in casa e mi trascinai fino all'ingresso, aprendo al porta senza nemmeno chiedere chi fosse.

"Ciao, Vic" il viso di Nicola mi apparve, allegro come sempre, e mi lasciò un po' spiazzata, non mi aspettavo di trovarlo fuori casa mia.

"Cosa succede?" domandai sospettosa, pensando già a una qualche scusa per defilarmi da qualsiasi sua proposta.

"Metti le scarpe, ti porto in un posto" dichiarò convinto, mostrandomi un sorriso di incoraggiamento.

"No, grazie" risposi fredda, facendo per chiudere la porta, ma la mano di Nicola si poggiò su di essa, bloccandola.

"Non puoi passare tutto il tuo tempo chiusa in casa" spiegò poi, lasciando che un lampo di preoccupazione attraversasse i suoi occhi.

"Chi lo dice?" ribattei acida, cercando di fare forza per contrastare quella del ragazzo, il quale però non aveva intenzione di farsi chiudere la porta in faccia.

"Mettiti le scarpe, dai" riprovò lui, tornando a sorridere cordiale.

Sapevo che stava cercando di aiutarmi, ma nessuno l'aveva chiesto, quindi poteva semplicemente lasciarmi stare.

"No" risposi svogliatamente, abbandonando l'idea di chiudere la porta e facendo per voltarmi, ma non riuscii ad allontanarmi di molto che la mano di Nicola si chiuse intorno al mio polso e, con una spinta improvvisa, mi trascinò sul pianerottolo.

"Va bene anche senza scarpe" concluse poi e, senza lasciarmi il tempo di ribattere nulla, si fiondò giù per le scale, trascinandomi dietro insieme a lui.

"Aspetta" mi opposi, dapprima con tono spento, quasi senza forza ma, man mano che scendevamo le scale, sempre più convinta.

"Nicola" gridai a un tratto "sono senza scarpe!"

Avevamo raggiunto l'atrio e io avevo i capelli più scompigliati che mai, la tuta grigia e un paio di calze bianche che si erano sporcate di polvere in quel breve tratto di strada. Però era la prima volta da quando Lina era morta che avevo reagito in un modo diverso dall'apatia.

"Oh" esclamò Nicola, facendo finta di esserne scordato "giusto"

"Torno a casa" dichiarai, cercando di liberarmi dalla sua presa, ma lui fu più veloce, mi attirò verso di sé, piegandosi sulle ginocchia al contempo e, con poco sforzo, mi caricò sulla sua spalla, lasciando che la mia testa penzolasse oltre la sua schiena.

"Ma cosa..." mi ritrovai a dire con tono concitato, mi aveva preso alla sprovvista e avevo avuto una normale reazione da essere umano.

"Ho la macchina parcheggiata qua fuori" mi spiegò lui, attraversando il portone d'ingresso e dirigendosi verso di essa.

Era troppo anche per la Victoria apatica. Sentii un sentimento simile alla rabbia montarmi dentro e, proprio mentre Nicola apriva la portiera dal lato del passeggero, esclamai furiosa: "È un rapimento, lo sai vero?"

Nicola mi adagiò con delicatezza al mio posto, mi legò la cintura e fece per allontanarsi, ma proprio mentre si trovava con il viso di fronte al mio, allargò le sue labbra in un sorriso e disse: "Eccola tornata, la nostra Vic" 

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