7 - Che stronza

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Finito di lavorare tornai a casa e ripensai alle parole di Nicola sulla paura, soprattutto quando afferrai la mia bellissima borsa pronta nel suo sacchetto e tornai in strada diretta al negozio dell'usato.

Dovevo venderla ma non volevo.

Volevo essere ricca ma non potevo.

La vita era fatta di scelte e mai avrei pensato che mi sarei ritrovata nella situazione di dover scegliere tra un oggetto tanto caro e del cibo, ma era successo.

Ero povera e sola come una barbona. La mia reputazione era distrutta, la mia famiglia pure, mio padre era in carcere, mia madre a deprimersi in campagna e non mi aveva chiamata nemmeno una volta per sapere come stavo, troppo occupata dai suoi malesseri. Probabilmente era anche imbottita di tranquillanti come succedeva spesso anche prima.

Quando avevo dato la borsa al commesso, le lacrime avevano minacciato di lasciare i miei occhi, ma nel momento in cui mi aveva allingato i soldi, gli argini si erano rotti e avevano iniziato a colare lungo il mio viso.

Il commesso mi aveva fissato sconvolto chiedendomi se andasse tutto bene, ma io avevo annuito e avevo lasciato il negozio senza una parola.

Per strada le persone mi avevano lanciato diverse occhiate mentre il mascara mi dipingeva il viso, e più volte avevo cercato di pulirmi con le maniche del cappotto, ma non riuscivo a smettere di piangere.

Era solamente una borsa. Era solamente un oggetto.

Questo mi ripetevo.

Ma non era così, la realtà era che stavo dicendo addio alla mia vita così come la conoscevo, così come ero abituata a viverla e ora mi ritrovavo in un mondo sconosciuto, nel quale non ero in grado di sopravvivere.

Quella non era solamente una borsa, era la mia vita andata in fumo.

Arrivai nel mio appartamento ancora sconvolta e fortunatamente mi resi conto che Chiara non era in casa. Nessuno mi aveva mai vista piangere, ne andava nel mio orgoglio e della mia forza, mostrare i propri sentimenti rendeva vulnerabili.

Mi misi a sedere sul letto e riuscii finalmente a calmarmi, ma appena tolsi il capotto, mi accorsi con orrore che avevo macchiato di mascara anche il golfino di cachemire che sbucava dalla manica.

Dannazione!

Lo tolsi, sostituendolo con un maglione rosa e poi afferrai gli altri vestiti che dovevo lavare a cercai la lavatrice per casa, ma non la trovai da nessuna parte.

Non c'era? Dovevo lavare al fiume come una contadinella? Era finita nel medioevo?

Mandai un messaggio sul cellulare di Chiara, la quale mi rispose poco dopo: Ah, giusto! Mi sono dimenticata di dirtelo! Le lavatrici sono in comune. C'è una stanza nel seminterrato, trovi tutto lì"

Nel seminterrato. Ero una sguattera come Cenerentola. Non c'era mai fine al peggio.

Scesi le scale con malavoglia, con i miei panni sporchi in braccio e il detersivo che Chiara mi aveva gentilmente prestato.

Quando fui davanti a quell'aggeggio sconosciuto, cercai di capire in qualche modo come fosse il suo funzionamento. Guardai su internet ma non era chiaro niente, c'erano un sacco di regole da seguire, perciò finii per mettere dentro quasi tutto quello che mi ero portata dietro e schiacciai il pulsante di avvio.

Cosa poteva mai succedere di tragico?

Quando tornai giù un'ora dopo, rimasi pietrificata da quello che era capitato ai miei vestiti favolosi, tutti i maglioni che avevo lavato erano diventati grandi quanto un pullover da neonato.

Scegli un biscotto della fortunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora