33 - Fiocchi di neve

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Dopo aver ordinato, mentre aspettavamo le nostre pietanze, parlammo un po' del ristornate, finché a Federica non venne la brillante idea di conoscere qualcosa in più su di me: "Ti piace lavorare al bar dei biscotti della fortuna?"

"Certo" replicai con tutta la naturalezza di cui ero capace, anche se non era proprio una risposta sincera... o forse sì?

"Come sei finita in questo quartiere? Non sembra esattamente il tuo ambiente" mi fece notare Lorenzo, portandomi ad arricciare il naso per l'irritazione.

Grazie al cielo non poteva vedermi... non volevo mentire perché Lorenzo magari aveva sentito dei pettegolezzi sulle vicende della mia famiglia, anche se non conosceva il mio cognome, non volevo rischiare, così decisi di omettere i dettagli.

"Perché volevo guadagnarmi da vivere da sola" dichiari con convinzione, cercando di mostrare sicurezza almeno nel tono.

Volevo non era esattamente la parola giusta da usare, ma almeno ero stata abbastanza sincera. Tuttavia decisi che era meglio cambiare argomento, così chiesi con finta gentilezza: "E voi due, da quanto tempo state insieme?"

Federica fece un sospiro svenevole, mentre Lorenzo rispondeva: "sette anni"

Quasi annaspai, spalancando gli occhi e la bocca contemporaneamente: così tanto?

Dannazione, la mia missione si faceva sempre più ardua. Cominciavo a perdere le speranze, ma in qualche modo, non ero più agguerrita come prima e non riuscivo a spiegarmi il perché, era quello che desideravo, come mai non mi sembrava più giusto?

"Lorenzo mi ha detto che conosci Guido" intervenne Federica con voce allegra "io e lui lavoriamo insieme"

"Già" ribattei, provando a non pensare a lui, nonostante la sua costante presenza nella mia vita, anche quando non c'era fisicamente "è il mio vicino di casa"

"In ospedale" continuò la ragazza con una mezza risatina "tutte le infermiere sono innamorate di lui"

"È un vero rubacuori" sentenziò Nicola.

"Senti chi parla" lo rimbeccò Lorenzo, facendo ridere la sua ragazza.

Nessuno ebbe modo di continuare quello scambio di battute perché la voce del cameriere che annunciava l'arrivo dei nostri piatti, catturò la nostra attenzione. Quando finì di servirci, ci augurò una buona cena e si allontanò, facendo ticchettare le scarpe sul pavimento e lasciandoci ancora una volta nel silenzio e nel buio totale.

Rimasi immobile, in attesa che qualcuno facesse qualche commento o almeno una mossa, ma tutti sembravano incerti, non era facile fidarsi di qualcosa che non si poteva vedere. Dopo poco però sentii del movimento al tavolo e presto il rumore delle posate che si scontravano con i piatti sostituì il nostro silenzio.

I ragazzi cominciarono a commentare le pietanze con entusiasmo ed elogi, mentre io avevo appena trovato il coraggio di prendere la forchetta e nemmeno sapevo da che parte spostarla.

Davvero avrei dovuto mangiare senza nemmeno sapere cosa infilavo in bocca? Dove accidenti era il mio piatto? Dovevo andare per tentativi?

Mentre gli altri intavolavano una conversazione su quanto fossero amplificati i sapori dei cibi, senza la vista, io stavo ancora cercando di compiere il primo boccone, irritata.

Ciò non mi impedì di pensare a quanto fosse stupido quello che stavo sentendo, come poteva il buio cambiare qualcosa nel sapore del...

Non feci in tempo a completare quel pensiero che le mie papille gustative si accesero provando una serie di sensazioni che non mi erano nuove, ma non erano mai state tanto intense. Avevo appena mangiato la prima forchettata di ravioli alla burrata e non ero più stata di grado di percepire altro se non quel sapore.

E per la prima volta in vita mia, passare la cena sentendo veramente quello che stavo mangiando e gustandomelo pure. La maggior parte delle volte i miei pasti erano state delle occasioni per mostrarmi più che per mangiare, anche quando consumavamo pranzi e cene a casa, dovevo sempre essere composta e attenta al portamento, non sporcare né esagerare, mia madre mi controllava sempre perché la famiglia era come una prova generale del società.

Ma in questa oscurità che mi avvolgeva, nessuno poteva vedere se masticavo troppo, se finivo anche il sugo sul fondo del piatto, se mi sporcavo la bocca, se chiudevo gli occhi per assaporare maggiormente il cibo.

Anzi chiudere gli occhi neanche serviva, era come se il mio gusto sensoriale si fosse attivato per la prima volta davvero. 

Questo voleva dire, lasciarsi andare?

Quando la cena fu conclusa, il cameriere ci scortò una alla volta nell'atrio e, dopo aver pagato, uscimmo nell'aria fredda della sera e ci avviammo verso la macchina, parcheggiata a qualche strada di distanza.

Federica e Lorenzo si incamminarono davanti a noi e mi presi qualche attimo per osservarli con attenzione.

Lei aveva infilato una mano dentro la tasca della giacca di lui e, quando la neve iniziò a cadere dal cielo, sollevò la testa verso l'alto, poi spostò la sua attenzione sul ragazzo al suo fianco, sorridendogli con gioia.

Anche Lorenzo voltò la testa verso di lei e la studiò con un'espressione così sincera e intensa, che rallentai il passo e gli lasciai un po' di privacy, quasi senza pensarci.

C'era intesa tra loro, si notava da come si toccavano, come si palavano, anche come camminavano all'uniscono, da come si guardavano...

Non c'era spazio per me in quel rapporto e improvvisamente realizzai che non volevo nemmeno crearlo quello spazio, sembravano...

"... così innamorati" mormorai senza accorgermene, attirando lo sguardo di Nicola su di me.

"Lorenzo e Federica?" domandò lui, seguendo la direzione dei miei occhi.

"Ah" esclamai, rendendomi conto di averlo detto ad alta voce "stavo solo pensando"

"Lo sono davvero, è una bella cosa" disse il ragazzo, sollevando la testa verso l'alto per incontrare i fiocchi di neve che cadevano.

Girai la testa verso di lui e gli domandai: "Lo sei mai stato? Innamorato intendo"

Nicola tornò a guardarmi con un'espressione sorpresa che poi si fece seria: "Sì..."

Si portò una mano dietro la testa, scompigliandosi i capelli come se fosse un po' in difficoltà con le parole, poi fece un lieve sorriso e continuò: "Ma ho capito che amo più me stesso e non voglio legarmi a qualcuno, finirebbe solamente per soffrire. Io sono un'anima libera"

Avevo imparato a conoscere un po' Nicola e avevo capito che lui aveva scelto di mettere la sua felicità prima di tutto e voleva avere solamente ciò che lo faceva sentire bene. Era sposato con la libertà e con l'adrenalina.

Mentre poggiavo un piede davanti all'altro, su quel marciapiede ormai bianco, mi ritrovai a chiedermi se fossi mai stata felice in vita mia. Un fiocco di neve si posò delicatamente sul mio naso e si sciolse lentamente a contatto con la mia pelle.

Prima ancora di chiedermi se lo ero mai stata, avevo mai permesso a me stessa di provare a esserlo?

La risposta negativa che arrivò dal mio cuore mi fece più male di quanto mi sarei mai aspettata. Altri fiocchi di neve caddero sul mio volto, andando a incastrarsi tra le ciglia lunghe, così mi ritrovai a sbattere le palpebre più del dovuto per toglierli.

No... era una bugia, non era per questo che sbattevo le palpebre, ma non avrei mai ammesso che stavo cercando di scacciare le lacrime.

Io non ero debole...

Come il cibo, privato del suo aspetto, aveva rivelato il suo vero sapore, così il mio cuore, privato di ogni controllo, stava cominciando a mostrarmi delle profonde verità che non avevo mai capito.

No... che non avevo mai voluto capire.

Io non ero debole...

E allora come mai improvvisamente mi sentivo tanto vulnerabile? 

Scegli un biscotto della fortunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora