1) SCHIZOFRENIA

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Voci ammalianti mi bisbigliavano all'orecchio, sadiche. Udivo chiaramente i loro sussurri proseguire sicuri verso di me, accrescere d'intensità, mormorare suadenti a pochi centimetri dal mio viso. Mentre quelle voci musicali mi assicuravano di avermi trovata, smascherata, nell'attimo esatto in cui quell' unico tono mellifluo e carezzevole, dolce come l'avvicinarsi lento e inesorabile di una lama tagliente pronta a penetrare nella tua carne, mi garantiva che mi avrebbe presto rapito, portato via da quella realtà beata che poco prima aveva abitato in me, rabbrividii. Percepii chiaramente il gelo che le loro voci diaboliche trasportavano con sé sulla pelle, sentivo l'orecchio pizzicarmi, le gambe all'erta, pronte a fuggire da quelle voci che mi soffocavano, mi erano attorno, che non mi lasciavano via di scampo, ormai le sentivo fin dentro di me, rimbombavano nella mia testa accompagnate da fitte lancinanti. Poi, d'improvviso, quell'unico tono pericolosamente flautato prese forma.

Spalancando gli occhi, immobilizzata da quell'assurdo e abominevole spettacolo, scorsi a pochi passi da me ombre imponenti, possenti, gigantesche, che mi sovrastavano minacciose, mentre i loro corpi tutto d'un tratto si duplicavano in grandezza. Inspiegabilmente, quelle ombre sinistre si definirono in corpi materiali, che mi sorridevano di traverso, con voluttà, tendendo le mani grigie e grinzose verso il mio volto sudato. Poi, tutto d'un tratto, le ombre, le lunghe braccia che si protraevano nella mia direzione, le grida che davano vita a quei corpi disanimati e informi, strillandomi ammonimenti crudeli, gridando sadici la mia incontrastabile diversità da cui non potevo far altro se non essere soppressa senza divincolarmi, inerme, si trasformarono in delicate e docili bamboline il cui capo era cosparso da raffinati fiorellini lilla.

«Qualcuno mi sta controllando la mente!», gridai, prima che la vista mi si annebbiasse e ritornassi a vedere attorno a me la mia innocua camera dipinta di uno smorto e anonimo giallo ocra. Mi osservai, prima di ricompormi. Le mie mani erano immobili, stringevano convulsamente l'uncinetto che poco prima stavo utilizzando per orlare un abito candido che avrei indossato l'indomani.

Prima che potessi rimangiarmi ciò che appena detto, udii un frastuono assordante provenire dalla camera adiacente alla stanza nella quale mi trovavo, e mia madre sopraggiunse immediatamente, sconvolta e con ancora una patata da pelare in una mano e il coltello per farlo nell'altra. Osservando il suo volto angosciato, tacqui. Abbassai lo sguardo, imbarazzata e pentita. Desiderai ardentemente che la poltrona nella quale sedevo divenisse immediatamente assai più sgangherata, tanto da permettermi di affondarvici dentro. Ma purtroppo, non accadde.

«Piccina, cos'è successo? Un'altra di quelle tue assurde visioni?», mi domandò apprensiva la mamma, accovacciandosi di fianco a me, mentre il rossore comparso sulle gote in ebollizione mano a mano sfumava in un delicato alone roseo.

«Sì, mamma, ma ora è tutto a posto, sul serio, sto bene», le assicurai, nello sfrenato tentativo di tranquillizzarla. Non era affatto vero. Temevo veramente che qualcuno potesse controllarmi la mente, impormi quelle assurde e tormentate visioni prive di alcun senso, mi guardavo attorno circospetta, ma tentavo di non trasmettere quell'irrefrenabile angoscia che mi assaliva alla mia povera e tenera vecchietta. Era ancora convinta che le mie fossero visioni incomprese, che la sua figlia considerata pazza fosse una veggente, ostinandosi in ogni modo possibile a identificare i miei deliri non come tali, non etichettandomi come "folle", così come facevano tutti. D'altro canto, a me stava bene. Mi crogiolavo in quella sopravvalutazione che mia madre coltivava per me, nella speranza che concepiva che sua figlia avesse un dono nascosto. Purtroppo, però, non tutti erano di quell'opinione. Io tentavo di mascherare il mio disturbo quanto più potevo, ma con scarsi risultati. Fin da bimba avevo manifestato evidenti problematiche, ma nulla più di un'introversione esasperata, di un'angosciosa pena provata nel non sentirsi anche lontanamente simile agli altri, nel constatare di essere in un certo qual modo sbagliata. Quella mia lungimirante previsione si era avverata più tardi, quando l'errore in me si era dichiarato con prepotente fermezza, imponendo sulla mia condizione di riservata bimba isolata e atipica la comparsa di prime allucinazioni e deliri. Erano incominciate il primo anno del corso d'avviamento professionale al quale mi ero iscritta dopo la quinta elementare, quand'ero ancora piccola. Per mia fortuna, solitamente la follia si manifestava in età decisamente più avanzata, dunque quelle mie precoci allucinazioni erano state percepite inizialmente come infantili fandonie, accompagnate da uno spiccato e talvolta irritante senso ironico, assieme ad una dote recitativa incomparabile. Peccato che il puro terrore che abitava i miei occhi durante quei deliri fosse autentico, genuino, e le risa che sorgevano dalla mia gola lo stesso, sgorgando libere all'apparizione di scene inverosimilmente divertenti. Quando però quei deliri e quelle allucinazioni si erano fatti sempre più frequenti e articolati, o al contrario privi di alcun senso, il mio incubo era iniziato. Ero ormai conosciuta come "la pazza del paese", e fischi sdegnati e canzonatori mi accompagnavano ogni qual rara volta che uscivo, lanci di pomodori mi accoglievano all'uscio della mia porta quando ritornavo dal fare la spesa.

«Ti sei scordata questi, matta!»

«Tornatene in manicomio!»

«Porta quest'omaggio a colui che ti controlla la mente, impostora!», mi canzonavano, deridendomi. La situazione era poi divenuta ingestibile, poiché, a seguito di innumerevoli esortazioni dell'insegnante per farmi ricoverare in una struttura psichiatrica e dopo i ferrei ed irremovibili rifiuti di mia madre, un dottore era sopravvenuto a casa mia. L'angoscia che la sua comparsa mi aveva provocato aveva favorito la comparsa di un delirio proprio in quel momento, e la folle vena di puro e sinistro divertimento che per qualche attimo mi aveva assalito lo sguardo era bastato a convincere quel pover'uomo a trasportarmi intransigentemente verso il manicomio del paese.

«Aiuto, aiuto!», gridavo io, mentre mia madre, appresso a me, malmenava con il mattarello quel misero e corrotto dottore. Alla fine, qualche insignificante moneta era bastata a convincere quell'uomo tanto sciagurato a lasciare in pace me e la povera donna ch'era mia madre, ed in cambio avevamo promesso lui e l'insegnante di lasciare quanto prima quel miserevole paesino di campagna.

Ci eravamo allora dirette nella vicina Italia, sperando che la mia condizione non si aggravasse e non mi costringesse ad esser confinata in quel tremendo incubo che tanto mi tormentava. Dapprima, io e mia madre, galleggianti nella nostra beata oasi di ignoranza, sapevamo ben poco sui manicomi. Eravamo unicamente a conoscenza del fatto che vi fossero internati i folli, ma ingenuamente, speravamo che tali strutture potessero aiutare a risolvere i miei problemi. Quando però ne avevamo discorso con una lontana zia tedesca, che ci aveva dettagliatamente descritto gli orrori che avvenivano in tali edifici, ci eravamo immediatamente ricredute. Strutture fatiscenti nelle quali potersi lavare diveniva presto una prestigiosa concessione, costantemente abitate da un fetore nauseante, dove quelli come me erano percossi da guardie possenti, di una stazza terrorizzante, e costretti ad esser curati tramite terapie come camicie di forza, elettroshock, fili spinati, cinghie di cuoio, e sollecitati a farlo tramite alcol. Mia zia aveva insistito perché io mi convincessi ad essere ricoverata in manicomio, ma io non avevo voluto saperne. Per quanto i medici più illustri sostenessero che tali terapie avrebbero dimostrato virtù terapeutiche e avrebbero potuto liberarmi dalla mia opprimente e invalidante condizione, credevo che quest'ultime non avrebbero fatto altro se non incrementare le mie tormentate e angosciose visioni. D'altro canto, mia madre, con il suo esaltato sentimento estremamente protettivo e benevolo, si era fermamente rifiutata: non avrebbe mai permesso che la sua piccina conoscesse direttamente tali orrori.

Dunque, ci eravamo rifugiate in Italia, sperando di riuscire a nascondere quanto più possibile la mia problematica.

Per quanto mia madre, affabile, tentasse in ogni modo possibile di consolarmi, le sue premure non avevano sortito alcun effetto. L'indomani, avrei iniziato a frequentare l'ultim'anno del corso d'avviamento professionale che avevo avviato precedentemente, per poi indirizzarmi al mondo del lavoro.

Quell'ultimo anno avrebbe costituito la mia prova finale. Se fossi riuscita a superarlo mascherando i miei deliri, che per me era assai difficile riconoscere dalla realtà, forse avrei potuto risiedere permanentemente in Italia. Dopotutto, se avessi fatto la bracciante come previsto nel terreno che lo Stato aveva affidato alla mia misera madre contadina a seguito della riforma agraria, sarei venuta in contatto con pochi altri braccianti, che di certo non avrebbero notato la mia pazzia, lavorando in modo estenuante fino all'esasperazione sotto il sole cocente del Mezzogiorno. A causa della vastità dei campi, avrei avuto tutto lo spazio necessario per isolarmi e non dare nell'occhio. Ma prima, dovevo superare quel fatidico anno che rappresentava la mia ultima e decisiva prova.


SPAZIO AUTRICE

Ciao! So che per il momento in pochi avete letto qualcosa di questa storia e per lo più i primi capitoli. Spero comunque che ciò che avete letto vi piaccia e che vogliate andare avanti. Volevo però dirvi che continuerò lo stesso a pubblicare capitoli, sperando che un giorno qualcuno li legga e io possa avere dei pareri, perché questa storia in realtà l'ho già conclusa da tempo, circa due anni, ed è rimasta ferma su Word a lungo. Poi ho deciso di provare questa nuova esperienza e vedere come va. Probabilmente pubblicherò molti capitoli nei prossimo giorni (sto scrivendo questo ps il 3 agosto, ma lo inserisco nel primo capitolo così magari qualcuno in più lo potrà leggere) perché vorrei tentare di partecipare agli wattys 2022 :) Spero comunque che qualcuno possa voler andare avanti e dirmi cosa ne pensa di questa storia per potermi migliorare. Grazie se lo farete <3. 

Oltre il limite #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora