5) MESSAGGI CRIPTATI

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I giorni seguenti trascorsero con una rapidità disarmante. Il quartetto delle arpie riprese a perseguitarmi, mentre lo stesso facevano le spie russe, ma badavo bene a tentare di tacere. Per avvertire l'Italia non sarei certo dovuta partire dai miei coetanei che già mi ritenevano folle. Mi sarei rivolta direttamente alle autorità, oppure l'avrebbe fatto mia madre per conto mio. Nel frattempo, tutti i miei insegnanti erano venuti a conoscenza delle mie "visioni", che più passava il tempo più si andavano dissolvendo, o forse stavano semplicemente diventando fuse con la mia vita, assolutamente e inevitabilmente intrecciate alle fila della mia esistenza, unendo nella mia piccolezza due enormi e ignoti mondi: l'irrazionalità e la "realtà". Che assurdità, questa rigida classificazione. Tentare di scindere ciò che può apparire sensato dall'insensato, di separare i folli dai sani. Era un'intenzione, per l'appunto, folle in sé per sé. Su cosa si basava realmente la cosiddetta "realtà"? Su uno schema monotono di ripetitive situazioni, su fattori ritenuti ed etichettati dalla stessa umanità come "normali". Era una vera e propria assurda calunnia. Si poteva forse scindere la "normalità" dall' "anormalità", quando erano due concetti interamente creati dalla limitazione della psiche umana? La natura non aveva forse già provveduto a racchiudere all'interno del nostro mondo tutto ciò che ci si sarebbe potuto accordare, valorizzando le diversità ma pur confinandole in fattori comuni e verosimili? All'umanità il lavoro naturale non era bastato. Aveva avuto bisogno di classificare in ristrette e opprimenti categorie gli individui umani, di esaltare le loro diversità, ma non valorizzandole, bensì ponendole in cattiva luce. Non erano i malati di mente i folli, ma i sani, che credevano di poter controllare l'intera esistenza della specie umana, di opprimerla con schemi rigidi, di imprigionarla in sbarre ferree, senza però tener conto del fatto che veramente in pochi si sarebbero potuti adattare a tali regole. Per violarle, infatti, erano stati persino creati "prodigi della natura" come me, senza bisogno della ribellione già seminata dentro ognuno di noi, proveniente dalla libertà che abbiamo potuto respirare, ma della quale siamo stati privati da noi stessi.

Tuttavia, nessuno, tranne la mia benevola madre, pareva condividere le mie opinioni. Proprio per quel motivo, era necessario che io tacessi, che mi adattassi almeno in parte a quegli schemi opprimenti a cui tanto desideravo oppormi e che condannavo più di ogni altra cosa. Però, dovevo liberarmi di quel peso che era la mia libera e fervida mente. Era necessario che io non la ascoltassi, per il bene mio e quello comune. Non volevo esser ricoverata in strutture psichiatriche, né desideravo far crollare questi schemi rigidi. Forse in parte. Ma, se fossero stati messi in crisi da qualsiasi individuo, la società non avrebbe più avuto radici, il mondo sarebbe divenuto un'altra prigione opprimente, quella della follia, dell'incontrollabilità, a cui pochi si sarebbero potuti adattare, e la cui mancanza di controllo avrebbe fatto presto sparire. Dunque, la vita in sé per sé era una prigione opprimente. Che fosse concessa la libertà oppure che se ne venisse privati, tentando di divincolarsi per aspirarla, quella libertà, per soddisfare quella sete insaziabile e inguaribile di quella seconda e successiva prigionia. Il mondo era comunque una prigione. Proprio come la mia malattia, che quel pomeriggio mi impedì di tacere.

Mentre la Castelli spiegava l'unità d'Italia, mi vidi comparire dinnanzi due giovani, dai capelli di un biondo cenere e gli occhi chiari, quasi bianchi, con volti talmente smorti da apparire come cadaveri in putrefazione. Erano russi. Mi fissarono sogghignando, e mi mostrarono compiaciuti una cimice lampeggiante, mentre mi informavano del fatto che erano riusciti a raccogliere tutte le informazioni necessarie per poter smantellare il governo italiano, nonostante il mio intervento troppo tardivo. Io gridai impaurita, a gran voce: «No! Non potete! Lasciateci in pace!».

«La matta torna alla riscossa», udii bisbigliare spazientita la giovane alta e secca come un chiodo.

«No, Morgan», mi affrettai a spiegare. «È una cosa della massima importanza: le spie russe stanno tentando di smantellare il governo italiano», chiarii concitata.

Oltre il limite #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora