Il giorno seguente, indossai l'abito che tanto mi ero premurata di orlare e perfezionare in occasione dell'inaugurazione di quell'ultimo anno. Non mi importava del fatto che senz'altro, come me, i miei compagni di classe fossero stati sicuramente miseri braccianti o contadini e di conseguenza avessero ben poco denaro da spendere in vestiti, per cui tutta quella mia ossessiva premura non sarebbe stata affatto apprezzata o forse addirittura criticata. Tuttavia, avevo intenzione di apparire al meglio, almeno per quell'occasione per me tanto speciale. Oltre ad essere il primo giorno dell'ultimo anno, avrebbe potuto rappresentare anche l'inizio della mia nuova vita, dove magari avrei potuto non esser etichettata come "la matta" del paese. Me lo auguravo.
Quel giorno, giunsi a scuola con largo anticipo, e mi intrattenni davanti all'imponente edificio della scuola femminile industriale con un libro di italiano. Ancora, data la mia scarsa istruzione e la mia miserevole condizione di povera contadina, non sapevo scrivere abilmente e avevo ancora qualche difficoltà a leggere il corsivo. Quella del paesino dove avevo risieduto non era stata un'istruzione sufficiente a formare la mia cultura come richiesto per quell'ultimo anno, dunque ero particolarmente angosciata. Come se non bastasse, ero a conoscenza del fatto che avrei dovuto impiegare ben due ore del programma in stenografia, e con le mie evidenti difficoltà con la scrittura non ero poi così sicura di poter ottenere la sufficienza in quella disciplina, per non parlare poi della matematica, della quale ricordavo unicamente addizioni e sottrazioni basilari, e della computisteria. Ma, dopotutto, quella di frequentare questi corsi d'avviamento professionale era stata unicamente una premura di mia madre, nella quale non ricavavo ancora la benché minima utilità.
«Semmai ti stancassi della nostra misera condizione, e, bada bene, bimba mia, te l'auguro con tutto il cuore!, potresti andare a fare perlomeno la contabile o impiegare il tuo tempo nelle fabbriche! Mai dire mai!», mi incentivava. Ma, dal canto mio, viste le mie invalidanti condizioni, non potevo aspirare ad altro se non ad una stancante quotidianità contadina.
«Leggi il corsivo?», mi domandò una donna ponendomisi davanti, sulla quarantina. Qualche striatura grigiastra contrastava con i suoi capelli mori, il cui colore era ripreso dagli occhi di cioccolato fuso. Il naso adunco e sottile sul quale erano posati un paio d'occhiali rigidi, quadrati, rossi come le fiamme che emanava il suo sguardo inquisitore e critico e spigolosi come gli scultorei tratti del suo viso, era lievemente arricciato, come stesse annusando un odore assai sgradevole. L'esile e aspra curva che formavano le sue sopracciglia ispide era particolarmente accentuata, e accompagnava uno sguardo di superba incredulità ed esaltato senso di superiorità.
«Buondì, signora. Ho ancora qualche difficoltà con il corsivo, però mi sto esercitando assai...», mi affrettai a replicare. La curva formata dalle sue sopracciglia si accentuò, tracciando innumerevoli rughe sulla sua fronte tirata.
«Immaginavo. Contadina?», mi domandò poi, ostentando nuovamente quell'altezzosa presunzione ricalcata persino dagli abiti perfettamente stirati e assolutamente ricercati che indossava.
«Sì, signora», risposi educatamente.
«Novellina?», domandò infine, e io annuii titubante. Mi scrutò ancora una volta con uno sguardo a metà fra sincera curiosità e finta compassione, dopodiché si volse e si diresse verso l'edificio della scuola complementare femminile a indirizzo industriale a cui ero ormai iscritta, senza degnarmi più di uno sguardo.
Nei pochi attimi che seguirono alunni di ogni età invasero l'immenso piazzale nel quale mi trovavo. Ragazzini poco più piccoli di me, probabilmente frequentanti gli anni precedenti ai miei, alcuni coetanei e persino qualche giovane dalla stazza possente di uno o due anni più grande di me, probabilmente alcuni rimandati o nostalgici allievi che avevano approfittato del primo giorno per salutare vecchi insegnanti.
STAI LEGGENDO
Oltre il limite #wattys2022
Ficción General"Quella ero io: Monica Monti. Quella era la mia essenza, il mio essere, e avevo deciso di mostrarlo, piuttosto che recarmi a ritirare la maschera ch'era stata predisposta per il mio volto. M'ero mostrata, quasi imposta alla società, ma essa aveva de...