𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝒖𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊

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Qualcuno urlava.
E non erano urla di gioia.
Non erano urla felici.

Mi coprii le orecchie. Mi rintanai nelle lenzuola. Mi tappai la testa col cuscino. Era inutile.
"Non è di te che devi preoccuparti, vai a vedere come sta".
Ma io sapevo già come stava.
La trovai nell'angolo più buio della camera, avvolta nelle coperte. Tremava e piangeva. Balbettava qualcosa. Ripeteva le stesse parole.
- Non piangere - diceva. - Non piangere, non piangere, non piangere, non piangere. Si arrabbierà se piangi. - mi avvicinai a lei. Le presi il viso tra le mani, cercando di nascondere il fatto che tremassero. - Ei, guardami. -
Non mi guardò.
- Non devo piangere - disse invece.
- Si arrabbierà anche con te se piangi. Ti farà male. -
- Non mi importa, se hai bisogno di piangere fallo, io sono qui accanto a te - solo allora alzò lo sguardo. Aveva gli occhi rossi e le ciglia bagnate. La abbracciai. Era l'unico modo che avevo per aiutarla.
Non potevo fare altro.
Non volevo fare altro.
Non volevo che si arrabbiasse.
Volevo solo che sparisse.

Non sparì. Le urla cessarono. Qualcuno cadde. Poi un ritmo irregolare di passi. Stava salendo le scale. Stava arrivando.
Ci avrebbe visti.
Sarebbe successo di nuovo.
Non volevo che succedesse di nuovo. Non potevo permetterlo.
Stavolta avrei fatto qualcosa.

Mi misi davanti alla porta.

Lui arrivò.

- Spostati - disse.
- No - risposi.
- Ho detto che DEVI SPOSTARTI - cominciai a tremare.
- N-non le farai di nuovo del male - non perse tempo a rimproverarmi. Gli si accesero gli occhi di rabbia.
Rabbia e solo rabbia.
Era l'unica cosa che vedevo.
Sempre.
Mi prese per la spalla e mi gettò a terra. Avvertii un dolore forte alla testa. Forte. Sempre più forte.

Chiuse violentemente la porta.
Sentii le urla di Natsu.
Poi svenni.

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Spalancai gli occhi.
- Natsu! - urlai. - NATSU! - delle braccia mi circondarono.
- Lasciami andare! Devo salvare Natsu! Devo... -
- SHOYO! - mi voltai.
- Sono io, sono Tobio - disse qualcuno alla mia destra.
"Tobio..." poi ricordai.
Ero a casa di Tobio.
Natsu era al sicuro.
Lui non c'era più.
Era stato solo un incubo.

- Scusami, io... non so cosa mi sia preso, va tutto bene Tobio. Puoi lasciarmi... - lui si staccò da me con aria imbarazzata. - Che ore sono? -
Prese il telefono che era sul comodino.
- Le due e mezza -

Il comodino del suo letto.
Della sua stanza.
Io ero nel suo letto e nella sua stanza. Mi sentii avvampare.

- ... le due e mezza del pomeriggio? H-Ho dormito tutta la notte qui? -
- Di notte - mi corresse. - Sono le due e mezza di notte -
"Di notte.." questo significava che non ero rientrato a casa. - Devo chiamare mia mamma! Oh cielo, sarà così preoccupata... -
- Non serve -
- Non... serve? -
- L'ho già chiamata io. Le ho detto che rimanevi da me. Sembrava molto contenta. -
- Avevi il suo numero? -
- No, ehm... l'ho preso dal tuo telefono. Non volevo farlo senza il tuo permesso, ma stavi dormendo e non volevo svegliarti. - si passò una mano dietro il collo. - Mi dispiace... avevo pensato di andare a casa tua per avvertire ma non volevo lasciarti da solo -
- Tu saresti... andato a casa mia a piedi? Da qui? -
- Se fosse servito, sì -
- Hai idea di quanti chilometri sono?? -
- Guarda che so correre eh... e comunque le passeggiate fanno bene, rilassano molto e aiutano il corpo a... -
- Grazie - gli stampai un bacio sulla guancia. - Per tutto, non so come avrei fatto senza di te -
Tobio si colorò di rosso.
- P-Prego - disse. Poi sembrò trovare qualcosa di davvero interessante sul pavimento e distolse gli occhi dai miei.
- Ti va di fare una passeggiata? -

Tra tutte le domande che poteva farmi dopo ciò che era successo,
questa era l'ultima che mi aspettavo. Ma comunque non avevo sonno. E in ogni caso, non sarei riuscito a dormire.
Neanche volendo.

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𝘾𝙤𝙪𝙣𝙩𝙞𝙣𝙜 𝙨𝙩𝙖𝙧𝙨 || ᵏᵃᵍᵉʰⁱⁿᵃ ♡︎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora