Mastro Madden

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Era inverno a Fresno e il primo nevischio macchiava i comignoli. La feria de fin de año s'avvicinava e la città si preparava. Il vischio rosso e le lanterne di carta dondolavano da portici e verande, sospinti dalla brezza fresca. Quel mezzo scombiccherato di mastro Madden intagliava le sue stramberie nel legno Tâl, che gli spaccalegna su a Nord gli avevano portato. Diceva che era il miglior legno delle Quattro Terre e che con quello i suoi intagli riuscivano meglio. E guardando le varie sculture sparpagliate in città, magari aveva pure ragione.

La sentinella piazzata dinanzi all'hotel (LENZUOLA PULITE TUTTI I GIORNI recitava l'insegna) era bianca come l'occhio di un negromante, alta quindici piedi e tuttavia poco pesante. Per portarla lì, e piazzarla accanto alla diligenza in disarmo, c'erano voluti solo quattro uomini. Merito del legno Tâl, che era leggero oltre che maneggevole.

Lo spiazzo dinanzi alla chiesa ospitava invece una statua del Messiah. Il Figlio dell'Uomo aveva una barba lunga che, sul finire, si annodava in una treccina. I capelli erano acconciati allo stesso modo. Non era molto alto e gli occhi erano miti. Madden aveva fatto un lavoro incredibile: sembrava che il Messiah ti guardasse mentre ti spostavi. Un po' come certi dipinti infestati, solo che Lui non faceva paura. L'altra cosa curiosa era che indossasse una maglia a maniche corte, sulla quale Madden aveva scolpito queste parole: JESUS IS GREAT (and you know it).

A chi gli chiedeva da dove pigliasse certe idee strambe, Madden rispondeva che le sognava. Il Messiah, la sentinella... persino quel buffo cristiano con un cespuglio di capelli che ornava la veranda del drugstore. Era un po' più basso del Messiah e teneva una palla in equilibrio sulla fronte. La maglia aveva il numero 10 sulla schiena e la scritta MARS sul petto. Nessuno, Madden compreso, sapeva cosa significassero numero e scritta.

Tra tutte le sculture, quella che spaventava di più i marmocchi (e non solo) era Nostra Signora dell'Oscurità. Madden l'aveva scolpita dopo un incubo particolarmente vivido. Si trattava di un donnone, alto quasi quanto la sentinella, che indossava una tunica tipo quella di certe sette svalvolate che abitavano l'Ell. Il legno Tâl era color kaki e nessuno si era preso la briga di dipingere le statue, ma Madden sosteneva che la tunica fosse nera come l'anima del Re Diavolo. Quando Nostra Signora dell'Oscurità gli era apparsa in sogno, alta e curva come un vecchio albero spoglio, aveva sussurrato a Madden: «Sono l'Angelo della Morte.» Conciata com'era, l'unica cosa che Madden era riuscito a vedere oltre tutto quel nero era stata una mano artritica che spuntava da una manica larga della tunica, un volto cadaverico incorniciato dal cappuccio e gli occhi che sembravano quelli di una tizia in balia della febbre. Riprodurre quella patina lucida nello sguardo era impossibile e così Madden aveva optato per una piccola licenza poetica: Nostra Signora dell'Oscurità, posata dinanzi alla bottega del becchino, aveva due orbite cave. Prima che finisse la feria, qualche ragazzino coraggioso sarebbe salito sulle spalle di un compagno e gliele avrebbe riempite di vischio rosso o di qualche altra schifezza.

Il piccolo Joe Coydron entrò nel laboratorio di Madden: una stalla piena di legni Tâl ancora vergini. Madden stava chino su un tronco mostruoso, lungo e ciccione. Joe vide la rapidità con la quale intagliava e ne restò affascinato. Trucioli volano in tutte le direzioni mentre Madden scolpiva la testa di un drago, con tutti i corni annessi e le scaglie.

«Wow...» mormorò Joe, e Madden sollevò la testa.

Lo guardò un attimo e ricominciò a lavorare, mettendoci più foga.

Joe si avvicinò. «È un Mynydd?» chiese.

«Da che l'hai capito?» fece Madden senza smettere di intagliare.

«Tutti quei corni.»

Madden annuì. Joe vide che, a parte la testa, il resto era da scolpire.

«Ce la fa a finirlo per la feria?» chiese.

«A-ha», rispose Madden.

Joe esitò prima di chiedere: «Ce l'ha un nome?»

Madden alzò le spalle.

«Oggi ci hanno raccontato la storia di un drago che si chiamava Trahayarn. Possiamo chiamarlo così?»

Madden alzò di nuovo le spalle: fa' un po' come cazzo ti pare.

«O sennò lo possiamo chiamare Aeron, come quello della costellazione.»

«Non è Aeron», fece Madden. «Aeron era rosso, questo qui è nero.»

«Come Trahayarn!» quasi urlò Joe.

«Era nero?»

«Sì-sì.»

«Allora è lui.»

Joe rimirò la testa del drago: le squame grosse come il pugno di un neonato, la bocca gonfia di denti, i corni che incorniciavano il muso allungato, gli occhi con la pupilla di rettile... Provò a immaginarlo una volta finito ma proprio non ci riuscì. Aveva però la sensazione che sarebbe stato fottutamente grandioso.

Lasciò Madden al suo drago e si mise a gironzolare per il laboratorio. C'erano svariate sculture. Quella che più gli fece impressione fu la statuetta di un kraken col corpo da cristiano e le ali da succhiasangue. Era seduto su una roccia, come un telelwybr impegnato a osteggiare l'Oltre-Terra, quell'enorme faglia dimensionale dalla quale erano sbucati i Mannari.

Joe si chiese quali circuiti avesse fuso il cervello di Madden e guardò oltre.

In un angolo c'era la scultura di un tizio alto e ben piazzato, le braccia protese in avanti. Aveva due bulloni piantati ai lati del collo (Joe vedeva le teste tondeggiati spuntare fuori) e una cicatrice sulla fronte, come se un pellerossa avesse provato a fargli lo scalpo e un segaossa incapace gli avesse rammendato la ferita in fretta.

Accanto al gigante rammendato c'era un piano da lavoro e, sopra questo, una cittadina in miniatura. Sulla base di compensato c'erano piccole casette, una chiesa con un buco su una parete e un crocicchio al centro con un piccolo banchetto. Joe si avvicinò per leggere l'insegna del banchetto: BANCO DEI BACI. E sotto, in piccolo: un decino per un bacino. Riconobbe Fresno e si stupì della mole di dettagli che Madden aveva inserito. Si stupì anche quando si accorse che riconosceva i cristiani in miniatura scolpiti dal falegname. C'era la vedova Dawson, sempre imbronciata; il dottor Tarlton, col suo pancione; il reverendo Parker... C'erano pure tutte le statue scolpite da Madden e che addobbavano la città, però in miniatura.

Joe pensò che fosse una figata senza precedenti quella che aveva davanti agli occhi. Non figa quanto il drago, ma ci andava vicina.

Stava per tornare da Madden, ma poi si accorse di una cosa: c'era un tizio disteso nel mezzo di una via in miniatura. Aveva una gamba mezza ritorta ed una striscia scura sulla camicia. Un capannello di persone gli stava intorno. Joe riconobbe tra quelli del capannello il sindaco, per via gli occhialini, e il reverendo per la veste scura. La trovò una cosa stramba da inserire in un... qualunque cosa fosse quell'affare che stava guardando. Fece per chiedere a Madden lumi in merito, quando udì un forte schianto e un coro di urla. Corse di fuori e fece a tempo a vedere un tizio, steso al centro della via, con una coscia mezza ritorta. A poca distanza da lui c'era un carretto. Si era schiantato contro un'abitazione. Il cavallo che lo tirava si era liberato dal giogo ed era scappato dopo lo schianto.

Un capannello circondò il tizio disteso. Joe vide arrivare, tra gli altri, il sindaco e il reverendo, e gli parve che la realtà che aveva dinanzi agli occhi si sovrapponesse a quella paventata da Madden nella sua città in miniatura.

L'ha visto, pensò Joe, scioccato. Vede le cose prima che...

E subito pensò alle varie sculture. Alcune di quelle mostruosità esistevano davvero? E se sì, dove si nascondevano?

Si voltò verso la stalla e vide Madden fare capolino. Il falegname un po' tocco di Fresno osservò la scena senza curiosità particolare, quindi rientrò a scolpire il drago.

Acciaio, pallottole & demoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora