La venuta dei dynion

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Era notte e la Costellazione del Lupo splendeva fulgida nei cieli dell'Ovest. Jack Rhine passeggiava con le mani incrociate dietro la schiena. Pensava a quella zoccola di sua moglie. Era quasi certo che se l'intendesse con il fabbro, Nolan Guy. Aveva intercettato uno scambio di sguardi tra i due, sulla Via Maestra, che gli era parso molto poco platonico. Poi il fabbro aveva sorriso appena. E che aveva fatto quella zoccola? Si era coperta le labbra col ventaglio per non farsi sgamare a sorridere di rimando. Ah, ma lui l'aveva vista. Le sorridevano gli occhi, a quella zoccola.

Era così assorto che non si accorse di dove si trovava finché non intercettò un riflesso pallido sull'erba. Alzò allora gli occhi con un «M-hm?» e un cipiglio gli stropicciò la fronte. Era giunto fino ai confini estremi del Diwedd-Ovest senza averne nozione. Un muro di arenaria gli si ergeva di fronte, largo come la vita di un titano e alto come la Torre di Guardia di Aramundi. La luce che si rifletteva sull'erba sgorgava nientemeno che dalla pietra.

Jack fece un timido passo in avanti, cercando di capire che diavolo fosse quella specie di sfera bianca e viola che si stiracchiava sulla roccia. La luce viola e quella bianca si davano il cambio dopo ogni pulsazione e mentre i riflessi di quella luce aliena gli si alternavano sul volto, Jack mormorò: «Ma che diavolo...?»

Poi la luce esplose: un flash come un lampo nel cielo. Jack gridò e si coprì il volto con un braccio mentre per lo spavento andava col culo per terra. Quando si riprese dalla sorpresa e gli occhi ricominciarono a vedere, la sfera bianca e viola era diventata una parete bianca e viola che rifletteva le immagini tremolanti della Luna del Cacciatore, degli alberi alle sue spalle e dello stesso Jack seduto a terra.

«Che cazzo...?»

Le parole gli morirono in gola quando la superficie semovente dello specchio si increspò di brutto e dalla gelatina bianca e viola spuntò una testa glabra. Jack cacciò un latrato e tuttavia non si mosse. Non ci riuscì. Aveva le ginocchia ridotte a due forme di... gelatina. La testa venne fuori portandosi appresso le spalle e il resto. La tizia che mise piede fuori dallo specchio tremolante e pestò le Terre di Confine era nuda come la prima donna della Radura e bella come il peccato: seni sodi, ventre piatto e una cascata di capelli scuri come l'anima del Re Diavolo.

Superato lo choc iniziale, Jack sentì che gli veniva su duro.

La tizia si guardò attorno e si accorse di non essere sola. Fissò Jack e parve riconoscere un proprio simile. Fece due passi verso di lui e poi cadde in ginocchio come fosse inciampata in una radice o in un sasso che sporgeva dal terreno. Jack la sentì lamentarsi mentre si metteva gattoni e tremava tutta.

«Che...?» gli uscì di bocca.

Non riuscì ad aggiungere altro perché la tizia cominciò a ringhiare. Sollevò di scatto la testa e Jack vide che aveva occhi di un giallo itterico. La tizia li alzò alla Luna del Cacciatore e ringhiò contro l'astro notturno, quasi che a volerlo maledire. Poi si rannicchiò in posizione fetale e urlò, ringhiò e urlò ancora. La luce candida della Luna la cingeva tutto come un velo nuziale e Jack poté vedere il corpo glabro riempirsi di peli a una velocità soprannaturale. Nel giro di pochi secondi una pelliccia bianca ricoprì tutto il corpo della donna.

Cristo e Messiah, biascicò la mente di Jack.

Ora la tizia nuda non urlava più, ringhiava e basta: latrati bassi e gutturali. Quando si stiracchiò, Jack si accorse che non solo aveva una folta pelliccia bianca come la neve del Nord, ma era anche più grossa. Almeno il doppio.

La creatura pelosa e ringhiante rotolò su un fianco. Si sollevò con calma e Jack vide che era grossa quattro volte la donna che aveva soppiantato. Pareva grossa quanto una chianina del dì di feria impennata sui quarti posteriori. I piedi, le braccia, il torso e il muso: tutto s'era allungato e aveva preso massa. Quello che Jack aveva davanti ora era un lupo in piedi sulle zampe posteriori, muscoloso e dall'aria parecchio incazzata.

Il lupo ringhiò e si scrollò. La pelliccia bianca si agitò con lui come un mare d'erba candida solcato da una raffica di vento. Levò il muso canino al cielo e lanciò un lugubre ululato, come un richiamo, e dalla gelatina spuntarono altre teste glabre. Ognuna di esse apparteneva a un uomo o a una donna che, appena metteva piede sulle Terre di Confine, si gettava a terra e cominciava a tremare e a urlare. Le urla divennero ringhi. Le pellicce bianche riempirono i corpi glabri e nuovi lupi dall'aria incazzata e dagli occhi itterici si sollevarono sulle zampe posteriori.

Erano una dozzina. E mentre si stiracchiavano e si scrollavano, dalla gelatina ne uscivano altri.

Il lupo che per primo s'era trasformato spiccò un balzo e atterrò sulle quattro zampe di fronte a Jack. Annusò l'aria, poi puntò i suoi occhi gialli sull'uomo tremante che aveva davanti e avvicinò la punta del muso fin quasi a toccargli il cavallo dei calzoni. Diede una bella sniffata e ritirò il muso con fare schifato.

Jack non capì subito, poi si accorse che s'era pisciato addosso. Fu l'ultima cosa della quale ebbe nozione. Il lupo sollevò una zampa dalle unghie affilate e con un fendente gli fece saltar via la testa, che atterrò diversi metri più in là e rotolò ai piedi di un albero. Gli occhi di Jack registrarono circa sette minuti di immagini prima che il cervello abbracciasse l'oblio.

Quel che videro fu un esercito di tizi nudi che spuntavano dalla gelatina e si trasformavano in Mannari dal pelo folto e bianco.

Acciaio, pallottole & demoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora