La Madre dei Mannari

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In alto, il cielo era azzurro come gli occhi del Buon Padre, limpido come la Sua anima e vasto come un mare. In basso, la terra brulicava di uomini e mostri che combattevano gli uni contro gli altri. Correvano in tutte le direzioni e menavano fendenti (nel caso degli uomini) o zampate (nel caso dei mostri). Il deserto era il campo di battaglia e riecheggiava dei latrati delle bestiacce pelose trafitte dall'acciaio e delle grida degli uomini dilaniati.

Goddard spronò il cavallo, un roano rosso come il culo di un diavolo, e sguainò la spada. L'elsa era ricavata dal corno di un drago, mentre la lama era di acciaio nobile. Si lanciò verso un gruppetto di Mannari che circondava pochi uomini. La lama mandò barbagli di luce bluastra quando Goddard la sollevò dietro la spalla e menò il fendente. La testa di un lupo volò via e il corpo peloso si afflosciò come una pelliccia fantasma. Il drappello di Mannari si distrasse e gli uomini appiedati, presi al centro come dei pivelli, sferrarono un attacco che permise loro di uscire dallo stallo. Il cerchio di bestiacce pelose si disgregò mentre Goddard si allontanava, costringeva il cavallo a voltarsi e ripartiva all'attacco.

Un urlo atavico gli uscì di bocca quando si gettò a rotta di collo sui Mannari, menando fendenti come un negromante pazzo che sferri malefici a casaccio. Nelle pellicce bianche delle bestiacce apparvero solchi rosso rubino. Il sangue sprizzò. Goddard ne ferì tre e ne uccise uno. Al resto pensarono quegli idioti che s'erano fatti intrappolare. Erano scemi come babbuini ma sapevano combattere, ringraziando il Buon Padre.

Goddard si guardò intorno. C'erano cadaveri un po' ovunque. Alcuni erano nudi come il primo uomo nella Radura, altri erano vestiti. Quelli nudi erano i Mannari che, una volta ammazzati, riacquistavano forma umana. Gli altri erano quelli che cercavano di fermare l'avanzata delle bestiacce. Goddard ne conosceva molti e, finita la battaglia, avrebbe trovato il tempo per piangerli. Ma non ora. Ora doveva solo mozzare quante più teste pelose gli era possibile. O, in alternativa, uccidere la Madre dei Mannari. Se la faceva fuori, il resto dei pulciosi cadeva con lei. O così gli aveva detto quel buzzurro dai capelli bianchi.

Facile parlare, per lui. Se ne stava a cavallo di un drago, a mille leghe da lì, e non doveva fare altro che dire al suo lucertolone di arrostire una dozzina di mostri qui e una dozzina là. Mica come Goddard, che rischiava il culo sul campo di battaglia. E comunque la Madre dei Pulciosi era ben sorvegliata, al sicuro sopra quella dannata montagna: un gigante di arenaria che Goddard vedeva stagliarsi in lontananza. Aveva due creste che svettavano ai lati come ali di un uccello pronto a spiccare il volo. I selvaggi che abitavano da quelle parti la chiamavano Montagna Alata o qualcosa del genere. Forse Montagna Uccello. Ed era lì, alle pendici di quel gigante di arenaria, che si svolgeva la vera battaglia.

«Già stanco?»

Goddard si voltò. Era Raedan, con quel suo cappellaccio dalla tesa curva e le sputafuoco.

«Facevo il punto della situazione», disse Goddard.

«Te lo faccio io: gli stiamo rompendo il culo», disse Raedan.

Goddard si guardò intorno. Avevano fatto fuori la maggior parte delle bestiacce pelose, ma rimanevano ancora folti gruppetti che gli asesinos e gli helwyr reclutati stavano accoppando. Goddard lanciò un'occhiata alle pendici della Montagna Alata, dove uomini e mostri se le davano di santa ragione. Erano piccoli puntini che sciamavano da una parte all'altra del campo di battaglia. I Mannari si distinguevano dagli uomini per le pellicce bianche e le dimensioni del corpo. Erano grossi come certi sollevatori di incudini che le brigate di strada si portavano appresso e zompavano da una parte all'altra come se un gigante li pigliasse a calci in culo. Goddard sentiva il casino della battaglia: nitriti, urla, ruggiti e altro ancora.

Acciaio, pallottole & demoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora