La tomba

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Erano in quattro, il numero benedetto: quattro erano gli dèi che abitavano la Nova Terra, quattro erano le Terre emerse e gli dèi delle Terre emerse. Quattro erano anche gli spiriti elementali che abitavano la Regione Verde. L'ebbro che cavalcava in fondo al quartetto diceva di averne visto uno, l'Uomo Verde, che era alto come un titano e tutto vestito d'edera. C'aveva pure due corna arrotolate, simili a rami, ai alti della testa e un randello come un tronco, e da lì si capiva che era maschio. Fosse stata femmina c'avrebbe forse avuto una specie di fiore tra le gambe, di quelli che avevano la forma di una conchiglia.

La notte si stendeva come un abito indiamantato sulle teste dei quattro cavalieri. La Luna era grossa, luminosa e piena di buchi. La lunga cicatrice sulla guancia rivolta al mondo la deturpava del suo antico splendore. Una volta era bella come una dea, poi Sozo aveva provato senza successo a distruggerla e ora era come una bella donna sfregiata da un amante geloso.

«Ponte», fece il tizio che guidava il quartetto. «Vado io per primo.»

«Non mi sembra molto stabile», disse il matusa che cavalcava un asino.

«Il senile ha ragione», fece l'helwyr barbuto.

«Guarda che io ho un nome.»

«Più che un nome è un fottuto scioglilingua. Ci metto tre giorni a pronunciarlo.»

«Piantatela», fece l'asesino a capo del quartetto.

Spronò il cavallo e la bestia mise piede sul pericolante ponte che attraversava lo strapiombo.

«Fai con calma», disse il senile.

«Ottimo consiglio, abbiamo fatto bene a portacelo appresso», fece l'helwyr spolliciando verso il matusa.

«Stavo solo dicendo...»

«Dateci un taglio.»

L'helwyr e il senile si voltarono a guardare l'ebbro che aveva parlato. Stava piegato sulla sua fiaschetta. Ormai faceva parte di lui, era un prolungamento del suo corpo come un braccio o una gamba. Da che erano partiti non l'avevano mai visto senza.

«Di che ti impicci, tu?» fece l'helwyr.

«Innervosite il cavallo», disse l'ebbro e indicò con un cenno del mento l'asesino.

Stava attraversando il ponte di legno con una lentezza degna di una tortuga. Il cavallo era più nervoso del suo cavaliere, che lo rassicurava sussurrandogli parole d'incoraggiamento mentre stringeva le chiappe e cercava di non cagarsi addosso. Il ponte ondeggiava.

L'helwyr mollò un grugnito e tacque. Il senile lo imitò. L'ebbro si fece un altro goccetto.

Guardarono in silenzio cavallo e cavaliere che attraversavano il ponte. La parte più complicata fu quella centrale. Il ponte ondeggiava parecchio di più nel mezzo e l'asesino fece appello a tutto il proprio sangue freddo per tenere il cavallo in riga e impedirgli di scapocciare. Quando la bestia pestò la roccia dall'altra parte, tirarono tutti un sospiro di sollievo.

«Chi va per secondo?» fece l'helwyr.

«Tiriamo a sorte», disse il senile.

«Mammolette», fece l'ebbro e diede un colpo di talloni al cavallo.

Passò tra i due cavalieri e raggiunse il ponte.

L'helwyr si voltò verso il senile. «Scommettiamo che non arriva neanche a metà?»

«Ti ho sentito», disse l'ebbro e bevve un sorso dalla fiaschetta.

Il suo cavallo mise piede sul ponte e avanzò lentamente. L'ebbro non lo forzò a rallentare, nemmeno quando furono nel mezzo e il ponte cominciò a oscillare pericolosamente.

Acciaio, pallottole & demoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora