Cieli cupi, cupi presagi

9 3 0
                                    

Il vecchio sedeva ai piedi dell'albero, che pure non era giovane, a leggere un libro. In quel momento era esposto come il prepuzio di un marmocchio dell'Ell, ma non gliene fregava nulla. Si sentiva al sicuro. Da quelle parti non passavano cristiani da parecchie estati. C'erano solo le ombre dei morti che fluttuavano sul lago e qualche luce lattiginosa che dardeggiava nella palude alle spalle della catapecchia, nessuna delle quali poteva nuocergli. La maggior parte delle sagome fluttuanti che avvistava parevano avvolte in un sudario trasparente e si limitavano a volteggiare a pelo d'acqua, increspando appena il riflesso della Luna. Lui le guardava spesso dalla finestra del secondo piano. La prima volta si era sentito mancare, la seconda un po' di meno e la terza gli era parso quasi normale. Quella tipa fluttuante (era convinto fosse una tipa, vai a capire il perché) riproponeva sempre gli stessi volteggi. Non cambiavano mai. Ed ecco da dove gli veniva l'intuizione che fosse una memoria spettrale più che una presenza cosciente.

Per le luci lattiginose, invece, non aveva trovato una spiegazione vera e propria. Una volta, quando era giovane e viveva nell'Entro-Terra, aveva sentito di un tizio che allevava fate, e le fate emanavano luci simili a quelle delle luci nella palude. Il problema era che il tizio viveva da qualche parte sulla Montagna Spaccata, che stava a parecchie leghe di distanza da lì, per cui...

Chiuse il libro. Era quello che lui chiamava un tascabile. Cioè, non è che lo chiamasse lui così, c'era scritto in un angolo della copertina. Ad ogni modo, quando chiuse il libro e si alzò, il cielo era una cortina d'acciaio. Aveva il colore dei suoi capelli, quei pochi che gli rimanevano.

«Cieli cupi, cupi presagi», mormorò.

Era un detto che usavano gli hen del suo villaggio. Chissà se ancora era in voga. Probabilmente sì, solo che a pronunciarlo erano altri hen. Quelli che lo istruivano erano, ai tempi in cui era bambino, già vecchi come il Buon Padre. Ora avrebbero avuto tipo centosessanta inverni. Un'età risibile. Nessuno campava tanto, a parte forse gli Hynafol. E pure certi negromanti. Cioè, non certi, uno in particolare. Aveva tipo centoquaranta inverni e ancora andava in giro da solo. Non aveva le gambe e quindi doveva strisciare da un posto all'altro, ma era comunque un'autonomia notevole per uno con tutti quegli inverni sul groppone. Abitava nel cuore della palude, lì dove il terreno diventava molle e fangoso. C'aveva una catapecchia d'argilla tonda, con un tetto di paglia o qualcosa del genere. L'aveva sentito dire ma non c'era stato di persona. Non si muoveva mai dalla sponda del lago. Che ragioni aveva per farlo? Stava poco bello e quieto, nella sua catapecchia, con i suoi libri e una vista spettacolare. Il lago era come una visione divina. Cioè, forse divina non era il termine giusto. Una visione divina suscitava diverse reazioni e quella più comune è forse la paura, mentre il lago lo calmava.

Alle volte pigliava una sedia, la sistemava sulla veranda e ci si accomodava inclinando lo schienale affinché toccasse la parete di legno. Poi allungava le gambe sul parapetto e fissava l'acqua che luccicava sotto il Sole. Bastavano pochi minuti e bum!, le palpebre si chiudevano come un sipario a spettacolo finito e il mento gli crollava sul petto. Altre volte, invece, gli piaceva osservare la pioggia che randellava lo specchio d'acqua. Più che guardarla gli piaceva ascoltarla. Il rumore che faceva quando si abbatteva sull'acqua era diverso da quello che faceva quando randellava i legni vecchi della baracca.

Il vecchio si ficcò sotto il braccio Uomini e Topi e andò verso casa. Quel poco di luce che bucava la cortina di acciaio era sparita e la lana in cielo s'era fatta più densa. Decise di piazzarsi in veranda per un po'. Pigliò la seggiola, sua compagna fidata, e la sistemò. Sedette, la inclinò e posò i talloni sul parapetto. Ci impiegò un po' più del solito ma si addormentò come un pupo dopo la poppata. Quando si ridestò, aveva un po' di saliva che gli gocciolava sulla maglia marrone. Si era formato un piccolo cerchio, sul tessuto, scuro e umido. Il vecchio si asciugò le labbra e il mento col dorso della mano, mise giù le zampe appollaiate sul parapetto e si lasciò cadere in avanti con la sedia sotto il culo che lo assecondava. Quando i piedi di legno sollevati toccarono terra, il vecchio spinse lo sguardo verso il lago e vide qualcosa che non s'aspettava.

Acciaio, pallottole & demoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora