Il buzzurro fulvo

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Grande e grosso com'era, non meravigliava il fatto che tutti si girassero a guardarlo. Per di più era fulvo. E i fulvi instillavano nella gente comune un certo timore religioso, vai a capire il motivo. Forse perché anche uno degli dèi che abitava la Nova Terra era fulvo.

Fatto sta che, quando il tizio fulvo entrò in città in groppa al suo cavallo (pure lui fulvo), tutti si fermarono a osservarlo. Aveva due spalle larghe e pettorali che minacciavano di squarciare la maglia color catarro a maniche corte. Dietro la sella c'era una pelliccia bruna messa di traverso, un dettaglio sul quale molti si soffermarono. Dove se l'era procurata? Non c'erano orsi o altri animali pelosi nel deserto. E non ce n'erano neanche nelle paludi dell'Ell, a ovest. Su a nord ce ne trovavi un fracco, non fosse che ormai il nord era inaccessibile. Una voragine larga come la bocca di un titano separava le Terre del Nord dal resto. L'unico modo per raggiungerle era a cavallo di un drago. E i draghi erano tutti crepati.

Il cavallo pestò la Via Maestra. Il tizio fulvo guardò a destra, poi a sinistra. Intercettò lo sguardo di un vecchio seduto in veranda. L'anziano fumava una sigaretta. Quando si accorse che il buzzurro fulvo lo squadrava, si alzò dal dondolo e rientrò in casa chiudendosi la porta alle spalle con una certa fretta.

Il comitato di benvenuto lasciava a desiderare.

Una tizia che pestava la Via col suo marmocchio salì in tutta fretta sulla passerella di una piccola bottega. Il marmocchio aveva gli occhi sbarrati. Fissava il buzzurro fulvo. Ma più di tutto fissava il fodero che gigante aveva agganciato alla vita e che penzolava lungo il fianco del cavallo. Era enorme, così come l'elsa che spuntava fuori. Viste le dimensioni del resto, la lama doveva essere grossa quanto la lingua di un drago adulto.

Il marmocchio mormorò un «Wow» a mezza bocca e indicò alla mamma il nuovo arrivato. La donna gli afferrò il polso con una certa apprensione e lo costrinse a calare la mano, quindi lo trascinò con sé dentro la bottega. Il tizio fulvo non si accorse del siparietto. Teneva gli occhi sulla via polverosa. Non gli piaceva quando lo squadravano in quel modo, come fosse appena uscito dal culo di un kauhun, ma aveva imparato a farci l'abitudine. E, visto che non poteva evitarlo, si era detto che tanto valeva rincarare la dose. Così s'era fatto crescere una barba folta e rossa come quella di Gobha, il dio fabbro che aveva insegnato la forgiatura agli uomini. Tutti quei peli sul volto gli conferivano un'aria minacciosa, che intimoriva anche i più spavaldi.

Raggiunse il saloon e smontò. Legò il cavallo e mise piede sulla passerella. Appoggiati al muro, accanto ai battenti, c'erano due tizi. Uno era grasso, l'altro allampanato. Quello allampanato disse: «Ma è vera?»

Il buzzurro fulvo vide che gli mancavano diversi denti ed era sbarbato male. Si accorse poi che teneva gli occhi sulla spada e allora afferrò l'elsa con la destra e la sguainò.

«Cazzo», mormorò il tizio.

La lama pareva una lingua d'acciaio e mandava riflessi bluastri quando i raggi del Sole la colpivano. Tenendola come se volesse piantarla nel legno della passerella, il fulvo la porse al tizio allampanato. Quello lo guardò imbambolato. Il fulvo non fece una piega e attese. Quando il tizio allampanato si allungò, il suo compare fece per fermarlo, ma incrociò lo sguardo del gigante e il coraggio defluì dalle giunture di braccia e gambe. Tornò a poggiarsi contro la parete mentre il tizio allampanato afferrava l'elsa. Il fulvo lasciò la presa e il tizio sdentato quasi cadde in avanti per via del peso.

«Cristo e Messiah», imprecò, afferrando l'elsa con entrambe le mani.

Sembrava un cavaliere in procinto di pronunciare un giuramento. Cioè, non fosse stato sdentato e mal rasato, magro come un chiodo e ridicolo per come cercava di tener su la spada.

Acciaio, pallottole & demoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora