La pioggia rinforzava anziché chetarsi. Pareva che il Buon Padre avesse in sorte di affogare il mondo. E ne aveva ben donde. Visto quello che accadeva in giro, pensò il buzzurro fulvo, era di per sé un miracolo che non li avesse seppelliti sotto una pioggia di sassi roventi. Una volta era successo, tanto tempo prima che gli Arian posassero gli immensi zoccoli sulle terre emerse e creassero la vita così come gli uomini la conoscevano. Una pioggia di comete si era abbattuta sulla Nova Terra e l'aveva trasformata in una specie di deserto arido e pieno di crateri come quelli sulla faccia visibile della Luna.
Un fulmine stracciò per un attimo il cielo, venne giù a zig-zag e colpì la capigliatura di un albero non troppo lontano dal buzzurro.
Giornata del cazzo, pensò mentre si trascinava dietro l'involto di foglie che conteneva il cuore di drago.
Pesava quanto il coglione sinistro di un gigante. E trascinarselo dietro dopo la battaglia contro quei mostri lacustri e quel gigantesco kauhut era un'impresa. I muscoli di braccia e gambe gli dolevano. Aveva bisogno di tirare il fiato, giusto un attimo, ma non c'erano ripari lì intorno. Manco un cazzo di casetta sull'albero, c'era. Passò accanto all'albero con la capigliatura bruna infiammata e si disse che forse era meglio così. Le fiamme gettarono ombre danzanti sul volto barbuto del buzzurro. Il sudario di pioggia le cancellò nel giro di pochi minuti, salvando il tronco possente.
Buon per te, mastro albero, pensò il buzzurro.
Il terreno fangoso sembrava volerlo trattenere, risucchiare e poi inghiottire. Ma il buzzurro fulvo non aveva alcuna intenzione di mollare. Nossignore. C'erano troppi bronzi in ballo. L'avrebbe trascinato per tutto l'Ell e avrebbe fatto a fettine tutti i mostri e i negromanti che pascolavano da quelle parti, se necessario. Cazzo, sarebbe morto prima di mollarlo. Si fermò solo un attimo per sistemarsi sulla testa la pelliccia, che stava scivolando giù. Era zuppa, ma almeno lo proteggeva dalla pioggia come le foglie di palma proteggevano il cuore di drago.
Un secondo fulmine squarciò il cielo con il rumore di un lembo gigantesco di stoffa strappata di netto da mani ancor più grandi. Un flash bianco baluginò illuminando tutta la foresta per un secondo. Un secondo che si rivelò prezioso, perché il buzzurro poté vedere la forma scura di un edificio stagliarsi in lontananza. O almeno, a lui parve tale. Forse era solo la sua immaginazione che aveva di infondergli speranza e invitarlo a non mollare, ma tanto valeva controllare.
Gonfiò i bicipiti enormi e seguitò a trascinare l'involto. Nessuna folgore rischiarò il buio, ma il buzzurro arrivò abbastanza vicino da rendersi conto che non era stato un parto della sua immaginazione: davanti a lui c'era proprio un edificio. E quella che aveva visto stagliarsi in lontananza era la forma di un campanile.
«Una chiesa del cazzo», mormorò, sollevando un poco il viso e offrendolo alla pioggia.
Era di legno e piuttosto grande. Cosa ci facesse lì, in mezzo ai boschi dell'Ell, non seppe spiegarselo. Né gli importava. Era solo grato di aver trovato un posto dove tenere il culo all'asciutto finché quella bagascia di Madre Natura non avesse finito di sfogarsi.
Aggirò il campanile che, come un dito con un'unghia troppo lunga e appuntita indicava il cielo gonfio di nubi nere, e si portò verso l'ingresso. La porta a due battenti era chiusa. Il buzzurro sperò non fosse serrata. Sembrava abbastanza solida da resistere allo starnuto di un gigante. Mollò l'involto e posò una mano sul legno scuro e umido. L'arco di legno che lo conteneva era rovinato e lasciava intravedere i cardini. Il buzzurro fece pressione e, come aveva previsto, i battenti non si spalancarono. Ci andò giù di spallate, giusto nel mezzo, e sentì che entrambi i battenti avevano voglia di cedere. Svestì allora la pelliccia e la gettò sull'involto. Pigliò una breve rincorsa e si gettò sui battenti con tutti suoi cento e passa chili. L'urlo barbarico si fuse con un colpo di tosse di Madre Natura che illuminò il cielo e i battenti si spalancarono con un gemito di cardini arrugginiti. Il buzzurro cadde a faccia in terra, sospinto dall'impeto. Si girò quindi sulla schiena e sbuffò. Era sfiancato come un toro dopo una giornata passare a montare vacche. Non concesse però appiglio alla stanchezza: si alzò, tornò fuori e recuperò involto e pelliccia. Li portò dentro, quindi chiuse i battenti. Il ruggito della pioggia si attutì un poco. Ora poteva riposare.
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Acciaio, pallottole & demoni
FantasyAttraverso città fantasma sulla Tratta del Messiah sino alle gelide lande del Nord, passando per le temibili paludi dell'Ell, i personaggi di queste avventure dal sapore fantasy e western ci portano alla scoperta di un mondo dove vigono le leggi del...