7. Il rituale

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Louis non si trovava da nessuna parte

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Louis non si trovava da nessuna parte.

Harry venne a sapere tardi che lo stavano cercando. Era rimasto in camera con Bonnie per molto tempo, si erano raccontati le novità principali davanti a un tè caldo preso ai distributori e avevano riso fino alle lacrime, quindi sì, l'aveva scoperto in ritardo e per caso.

Era quasi finito addosso a un Liam trafelato, si era bloccato appena in tempo per non farli finire entrambi a gambe all'aria. I suoi occhi scuri erano grossi come piattini di un servizio in porcellana, si muovevano frenetici a destra e a sinistra.

Che succede?, gli aveva chiesto Harry. Liam aveva tentennato un minuto, non di più, poi aveva confessato con un sussurro che l'operazione di Louis era andata male e che non lo trovavano da nessuna parte. Disse che succedeva spesso. Di solito tornava da solo ma, quella volta, due ore erano passate e i suoi amici erano preoccupati.

Persino Niall Horan, il paziente che soffriva di epilessia, ciondolava nei corridoi, affacciandosi nelle stanze con viso pallido e chiamando il neurochirurgo. Harry lo riportò nel suo letto con una mano attorno alle spalle, tranquillizzandolo e dicendogli che l'avrebbero trovato.

"Ti ricordi? Lo ha sempre fatto, anche quando eravamo studenti", commentò Liam. Per essere uno abituato a quel tipo di avvenimento, Harry si chiese come mai fosse così agitato. Due ore erano tante, soprattutto durante un turno di lavoro, ma a suo parere Louis sapeva prendersi cura di se stesso.

"Mi ricordo. Tu e Zayn partite dall'ultimo piano, io inizio da sotto", rispose, azzardando un sorriso rassicurante.

Appena Liam se ne fu andato, Harry prese un respiro profondo. Corse fino all'ascensore più vicino e, quando fu dentro, schiacciò il pulsante che portava al piano -1. Aveva mandato Liam apposta al piano più alto, perché sapeva esattamente dove fosse Louis.

Non capiva perché stesse andando lì da solo. Louis non avrebbe voluto vederlo e Harry non avrebbe saputo che dire, soprattutto se l'altro aveva davvero appena perso un paziente. Non avevano più 18 anni, nessun suo tentativo di consolarlo sarebbe andato a buon fine, eppure voleva farlo. Si sentiva in difetto per come era andata la cena, voleva rimediare.

Sbucò nel seminterrato, dove le luci erano sempre fioche e la sala più grande era l'obitorio. L'aria fredda lì si incollava al corpo come una seconda pelle, i carrelli e i letti ai lati del corridoio erano corpi vuoti, le lampade al neon sfrigolavano e lampeggiavano a intermittenza in alcune parti, troppo poco importanti per essere riparate. Harry si strinse nelle spalle, odiando ogni istante di quella decisione.

Quando perdeva un paziente, l'unico modo per affrontarlo era attaccarsi alla vita. Usciva dall'ospedale, andava a farsi una passeggiata tra i germogli in fiore, parlava con chiunque gli rivolgesse uno sguardo, chiamava sua madre. Louis non era mai stato così. Lui si aggrappava alla morte, la accoglieva come una vecchia amica, beandosi della sua compagnia.

The Broken Hearts Club || [larry stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora