25. Il migliore

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Per essere un buon chirurgo, bisognava saper indossare una maschera nel momento in cui si entrava in ospedale

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Per essere un buon chirurgo, bisognava saper indossare una maschera nel momento in cui si entrava in ospedale. Che la situazione fosse tragica, risolvibile, senza speranze, l'importante era affrontarla con innata calma, osservando il mondo dall'esterno, come se le conseguenze non potessero toccarti.

Louis vedeva i parenti dei suoi pazienti piangere a cadenza regolare, appoggiandosi alla spalla di chi più era vicino, o seppellendo la faccia in un fazzoletto sgualcito. Lacrime di tristezza, lacrime di gioia, di frustrazione, ma pur sempre acqua erano, e come acqua Louis se le faceva scivolare via dal corpo pur di non affogare.

Quando la tragedia diventava personale, però, quella era tutt'altra storia. Gli era successo solo una volta prima di allora, un nonno molto anziano morto tra le mura di quell'ospedale, curato e amato fino all'ultimo. La situazione adesso era diversa. Faceva male per troppi motivi, che si sommavano sulle sue spalle come macigni di pietra, schiacciandolo al suolo.

A tenerlo su, in quell'istante, c'era solo Harry.

"Guardami", due mani forti gli stringevano le spalle, due occhi verdi e limpidi scrutavano il suo viso, "Lou, guardami. Voglio che tu mi veda."

Metterlo a fuoco fu difficile. Louis dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di vederlo davvero, lì di fronte a sé, fuori dalla sala operatoria dove sua nipote stava rischiando la vita. Era rimasto muto per tutto il tragitto in auto, aveva apprezzato la guida spericolata di Harry in silenzio, così come la sua prontezza. Il miglior chirurgo al mondo, quello dicevano i premi.

"Cosa devo sapere?" chiese Harry. Era immobile, con il camice infilato alla bell'e meglio, le mani ferme e stabili. Louis tremava. O almeno, credeva di farlo.

Harry avrebbe potuto ricavare le informazioni richieste dal fascicolo di Nora, ma che le stesse chiedendo a lui, di persona, era un gesto che bastò a scaldargli il cuore abbastanza da farlo tornare presente. I pollici di Harry asciugarono le lacrime sulle sue guance: non sapeva nemmeno di aver pianto, per una volta era lui dal lato opposto, aveva bisogno di una spalla su cui appoggiarsi, di un fazzoletto dato da uno sconosciuto per tamponarsi gli occhi.

"Ha un...", si interruppe con un singulto, cercando disperatamente la calma che il suo mestiere era capace di insegnare, "ha un d-difetto del setto atrioventricolare, la teniamo sempre sotto controllo."

"Okay— no, fermo, guardami ancora."

Obbedì a fatica, buttando giù saliva salata, lacrime che scorrevano all'interno, come incapaci di presentarsi al mondo.

"Sei troppo coinvolto. Ho bisogno di sapere se posso operarla io, hai capito? Se mi dai il via, ci penserò io." Persino sotto alle sgradevoli luci al neon dell'ospedale, Harry era bellissimo, il fantasma dei suoi sogni venuto a finire il suo compito, riflesso dalle tante vetrate che l'avevano perseguitato.

Louis posò le sue mani su quelle di Harry intente a stringergli le guance. Passò un messaggio non verbale tra loro, una scintilla di comprensione, di compassione: Louis lo venerava, come medico, come persona. Quello non sarebbe mai cambiato.

The Broken Hearts Club || [larry stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora