-CAPITOLO 15- Il binge eating

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Sono le 3:07 e Zena ha appena finito di mangiare: una crostatina alla marmellata con un cucchiaio di nutella sopra, un pezzo di fesa di tacchino e una caponata con la maionese. Ora ha mal di stomaco, non riesce a dormire e io continuo a farle rileggere la prima riga e a rimproverarle di essere di nuovo caduta nel labirinto del binge eating. Non è tanto quanto mangi, quello può variare, è tanto 'come' mangi. Le cose elencate sono in ordine, passi dal dolce al salato, dal mangiare il salato quando hai ancora il dolce in bocca; non esiste gusto, è una fame illusoria, la fame dell'insoddisfazione, della repressione, della tristezza, dell'incertezza, del bisogno. Brontola lo stomaco per un minuto e ti ritrovi a fare una seconda cena. Onestamente non so se ci sia io dietro le sue abbuffate, mi verrebbe da pensare di sì per l'esasperazione con la quale accadono ma non pensa a niente quando mangia e forse è proprio questo a darle sollievo, riesce a zittirci. Zena ha approfondito molto questo comportamento con lo psicologo e non vi nasconderò che l'inizio di questo capitolo è stato scritto mesi e mesi fa ma la delusione del suo fallimento l'ha spinta a lasciarlo abbozzato. Ieri notte però, dopo un bel po' di tempo pulita, ha avuto un nuovo attacco e quindi rieccoci. Oggi posso confermarvi che ci sono io dietro le abbuffate, la ancóra indistruttibile Emotiva Tragica, mutaforme ed incontenibile. Quello che ho capito però, stranamente grazie allo psicologo, è che non mangiamo mai perché ci sentiamo già grasse ma perché ci sentiamo inadatte, prima che nelle vesti aderenti, nelle esperienze di vita. Ho fatto sentire Zena inadatta davanti il corpo nudo di un uomo che voleva con tutta sé stessa, l'ho fatta sentire inadatta ogni settimana in discoteca, la faccio sentire inadatta tra gli amici che pare sempre non le vogliano bene abbastanza. Mai abbastanza, mai abbastanza, mai abbastanza, fallita, fallita, fallita. Si snerva quando mi metto con impegno a ripeterle queste frasi e ancora stenta a capire che ci sia io dietro, ci arriva solo in seduta e mai da sola quando accade. Ultimamente sta studiando come non ha mai fatto prima per una materia che le da problemi dal terzo anno di liceo: la matematica. Per me è stato facilissimo insinuarmi nella sua concentrazione costante, l'ho fatto in un modo così subdolo che credo davvero di essermi superata: abbiamo creato un'agenda degli errori! Geniale no? Quale miglior modo per continuare a sgridarla se non quello di farle credere che le serve per memorizzare gli argomenti? "Derivata prima: hai sbagliato la formula, non dimenticare di semplificare. NB: NON SEMPLIFICARE A CAZZO." Eccolo, il giudizio a caratteri cubitali, facile facile, pesante pesante. Non è tanto il consiglio di non dimenticarsi i passaggi ma gli insulti che prima di appuntarsi gli errori le lascio fare. "Sei proprio una cretina, è la quinta volta che ti scrivi questa cosa." Quest'esame, che fu uno dei motivi scatenanti per cui Zena voleva farla finita la prima volta che non lo superò, non rappresenta solo un test da superare ma una guerra che dura anni. Una guerra contro una materia che in fin dei conti le piace ma non le riesce; è l'emblema, tra i tanti, della sua incapacità, del suo senso di fallimento e di sconfitta. Non superarlo di nuovo significa dover prendere in considerazione che abbiamo buttato tre anni della nostra vita per un'università troppo difficile per noi, non adatta alla nostra poca intelligenza. Ecco cosa creo io: lo scenario più disastrato che possa esistere. Immaginate l'agonizzante sensazione di rincorrere, esausti e affaticati, quella dannatissima corona d'alloro e vederla, invece che più vicina, sempre più lontana fino a diventare un puntino verde in un tunnel cilindrico di una scala di grigi. Ecco come la vedo l'immagine del futuro prossimo di Zena, un videogioco di scarsa qualità, con i personaggi e gli ambienti tutti un po' spigolosi e sgranati, la corona illuminata da un contorno dorato e fluttuante nell'aria; ad ogni passo del personaggio l'obiettivo rimbalza sempre più indietro e Zena, giocatrice, ne diventa dipendente ma come ogni gioco senza fine, non esistono vittorie. Come un gioco d'azzardo ciò che perdi diventa più di ciò che hai dato finendo per consumarti e ritrovarti punto e accapo. Cosa c'entra tutto questo col binge eating? Che ogni singola parola elencata non ha scatenato in Zena nessuna reazione pur di silenziarmi, è ancora convinta di eliminarmi facendo finta che non esista e questo la porta inevitabilmente a sfogare il suo dolore della mia crudeltà nel cibo, nel dolce per l'esattezza. Perché quando qualcuno ti sgrida perennemente l'unica cosa che vorresti è una carezza e Zena, per mia fortuna, non ha nessuno se non le calorie.

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