26 - Incontro

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Avevo realizzato il mio desiderio, avrei dovuto essere felice no? 

Forse qualcuno di conoscerà l'adagio di Oscar Wilde: "fai attenzione a quello che desideri perché potresti ottenerlo"Io lo avevo sentito mille e mille volte, ma iniziai a percepire a cosa si riferisse solo in quel momento. 

L'eccitazione che mi aspettavo diventasse padrona di ogni singolo istante, venne sostituita troppo presto da mille dubbi, mille ragionamenti, mille ipotesi. Il cervello, quella macchina infernale che macinava e produceva senza sosta, mi impediva di assaporare il momento. Doveva elaborarlo, inquadrarlo, vivisezionarlo al microscopio come se in questo modo se ne potesse vivere di più o meglio. 

La realtà del sogno era invece la leggerezza che non era superficialità. Il sogno non andava capito o studiato, andava vissuto. Io non ne fui capace. 

Iniziai a fare mille ipotesi su quello che gli avrei detto, come mi sarei comportata, come sarebbe stato e cosa avrei provato. La mia mente schematica e riduttiva vedeva solo due possibilità: 

1) avrei scoperto che provavo per lui le stesse sensazioni che provavo in chat;

2) avrei scoperto che era tutto esistito solo nella mia mente. 

In nessuno dei due casi da quell'incontro io avrei potuto uscirne vittoriosa. 

Nel primo caso, come avrei fatto ad accontentarmi di sole ventiquattro ore? Sarebbe stato un atroce tormento, romantico quanto può esserlo un amore impossibile, tragico, ma di una tristezza indescrivibile. 

 Nel secondo caso non avrei comunque cambiato nulla della mia vita e questo forse era un'ipotesi anche peggiore della precedente. Dopo tutto quello che avevo passato sarebbe stato come al gioco dell'oca quando ti tocca tornare alla casella di partenza, solo con uno scoraggiamento e una delusione mille volte peggiori. 

Il fatto che potesse esserci una terza, quarta, quinta, sesta possibilità non mi era passata neanche per l'anticamera del cervello. 

Quello che non avevo tenuto in considerazione era che avevo a che fare non con un pezzo di carta o un manichino fatto di celluloide, avevo a che fare con una persona in carne e ossa, viva, reale, con propri desideri, proprie esigenze, propri comportamenti. 

Mister X era sempre stato fuori dagli schemi, attento, profondo, sensibile e soprattutto dominante. 

Sì, lo so. Adesso starete anche voi volando con la fantasia: una donna bellissima , chioma scura al vento, vestita di nero con tacchi a spillo e giarrettiere, che si incammina sinuosa in una strada oscura. Lui affascinante, misterioso, la aspetta in una stanza in penombra; fruste, dildo, manette, bende, piacere, dolore. Avete ben in mente la scena? Adesso cancellate tutto, fate un reset a zero e ricominciamo dal punto di partenza: immaginate uno schermo completamente bianco. Questa è la nostra partenza. Caliamo tutto nella realtà. 

Le giornate prima del viaggio mio marito mi tenne sveglia per quasi tutte le notti a parlare. Io che gli ripetevo senza sosta sempre le stesse cose e lui che continuava a fare mille domande sul perché e sul per come. Arrivai a qualche giorno prima della fatidica data sfinita psicologicamente e fisicamente tanto da chiamare a telefono Mister X per raccontargli tutto. Lui mi consigliò di non andare. I tempi non sono maturi mi disse. Non sei pronta. 

Non sono pronta? Risposi. Sono mesi che aspetto e mi dici che non sono pronta? 

Sospiro adesso. Aveva ragione lui: non ero pronta, ma non ero neanche in grado di ammetterlo. Era come quando da piccoli per imparare che il fuoco scottava bisognava sperimentare. Per me era la stessa cosa. 

 Non era colpa mia se mio marito era andato in paranoia, no? Vero. Però ero io quella che non aveva un equilibrio interiore. 

Le pressioni psicologiche di lui si unirono alle mie già ingombranti ombre per diventare uno di quei mostri mitologici a dieci teste in cui se ne tagliavi una ne sbucava un'altra: avevo la mia Idra personale da combattere. 

Parola di Mia CagnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora