Con grande dolore scrissi:Il nostro sarà un rapporto di amicizia. Platonico. Vorrei poter dire che dopo aver inviato quelle parole mi sentivo meglio. Non sarebbe vero. Era comunque tagliarsi a fettine per rispettare regole e convenzioni. Avevo la mia prigione, l'avevo costruita e arredata per bene. Non potevo accettare che ci fosse qualcuno disposto a prendermi la mano per farmene uscire. Lui era nelle condizioni di potermi tirare fuori e io non volevo. Lui mi diceva vieni alla luce ed io continuavo a scuotere la testa e a nascondermi. Amico. Lo tengo come amico.
Neanche ti ricordi di me, piagnucolai fetente ed egoista. Gli stavo chiudendo di nuovo la porta in faccia e l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era me stessa, i miei desideri, il mio voler essere protagonista nella sua vita per mio solo diletto, senza voler dare di mio neanche un pensiero, un sospiro, un capello. Lui era triste, molto, anche un po' duro. Accettò la mia richiesta.
Che amicizia platonica sia.
Ed io restai delusa del suo accettarla. Non perché fossi convinta che non l'avrebbe fatto o perché contassi su una possibilità che mi convincesse del contrario, restai delusa del destino che mi ero ritagliata. Vorrei poterla saltare questa conversazione, per quanto fu dolorosa, per quante ammissioni fui costretta a fare quel giorno.
Mi disse che avevo messo un like nella sua bacheca di Facebook e io soffocai il dolore nel petto. Lo aveva notato.
Uno solo? Sono stata avara. Tentai di scherzare
Uno. Due o tre avrebbe spinto a cercarti. Rispose Mister X.
Alla fine mi cerchi in ogni modo.Mi trovi...corressi.
Per perderti sempre. Non è una bella cosa.
Se non fossi stata così concentrata su di me forse sai stata in grado di percepire la sua tristezza, il ruolo vero che avevo avuto nella sua vita, che non aveva niente a che fare con quello che era nella mia testa e che era contemporaneamente di più e di meno. Non lo feci. Sentivo solo il peso di una conversazione che non volevo abbandonare e che non riuscivo a gestire. Cercai allora di alleggerirla.
Sono felice della nostra amicizia. Scrissi.
Potevi dirlo due anni fa. Ribatté
Due anni fa non riuscivo ad accettarlo. Spero di essere cresciuta da allora.
Tutto è bene ciò che finisce bene. Decretò e allora non potei non constatare la realtà. Sa di amarezza in questo modo.
Mi chiedevo perché insistessi sul mio passato. Osservò.
Il pensiero di essere una delle tante mi ha sempre dato fastidio.
Peccato. Scrisse. Non hai capito molto di me. Ho imparato il modus operandi di chi fugge. Lo accetto. Non trattengo. Sono scelte e le rispetto. Una accusa nuda e cruda, vera, dolorosa, implacabile tanto da mettermi di nuovo a nudo, di fronte la mia vera natura, facendomi sentire in colpa. In realtà a rileggerle quelle parole capisco ora che non è che avessi frainteso il suo essere, quello che avevo voluto ad ogni costo fraintendere era il mio essere. Non volevo ferirlo, lo avevo fatto per disattenzione e per mancanza di consapevolezza, come chi pesta il piede perché non vede dove va. Solo che io non avevo pestato un piede, avevo calpestato una persona che non lo meritava e lo avevo fatto perché dietro la tastiera, non vista, era uscita tutta la mia pochezza e la mia vigliaccheria.
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Parola di Mia Cagna
Short StoryVerità o menzogna? Storia vera o di fantasia? È davvero così importante? Forse l'unica cosa che conta è che viene dal cuore ed è diretta al cuore.