15 - Justine

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A questo punto potrei farvi leggere quello scritto e pubblicato su wattpad di suo pugno, dirvi qual è il suo profilo e la storia a cui mi riferisco. Lui non accede più ormai da tempo alla piattaforma. I suoi scritti giacciono lì, dimenticati, a disposizione di chi ha la fortuna di incrociare la sua strada.  

Non ho abbastanza coraggio per farlo, confesso. 

Qualcuno di voi si starà chiedendo se io non abbia mai pensato che stesse  mentendo. Molte delle persone che chattano con sconosciute lo fanno. E' facile farlo dietro una scrivania, quando non ci sono complicazioni e dove è quasi impossibile essere smascherati. Eppure ad un lettore un po' più accorto, e se si possiede la giusta sensibilità, si può comprendere la differenza, osservare le sfumature e poter dire: è vero. Io sapevo che non mentiva, lo sapevo in ogni fibra del mio corpo, lo sapevo senza poterne avere conferma alcuna. Lo sapevo e basta. 

Justine non era il vero nome della ragazza in questione. Lui l'aveva ribattezzata tale perché lei amava De Sade e i suoi scritti. L'aveva conosciuta in  una chat. Avevano parlato a lungo. 

Tanto quanto noi? Mi chiesi. Accantonai quel pensiero che mi creava inquietudine. 

Aveva ventidue anni. Giovanissima, fidanzata con qualcuno che non sapeva apprezzare il suo essere femmina.

Diciamoci la verità, uomini che hanno un po' più di sensibilità di una zucca sono delle perle rare. Boriosi, pieni di sé, egoisti, infantili, prepotenti, mammoni è  pieno il mondo. Uomini che si sforzino di comprendere la femminilità delle donne sono mosche bianche. C'è anche da dire che le donne sono poco o niente consapevoli del loro essere donne e femmine e che non hanno nessuno che insegni loro cosa sia davvero.  La femminilità, questa sconosciuta che resiste nonostante la società cerchi in ogni modo di sotterrarla,  sopravvive solo perché parte integrante della donna e per quanto si cerchi di eradicarla, lei come un fiore sboccia anche nel duro cemento.   

Non mi stupiva che Justine avesse trovato in Mister X ben di più degli altri. Non mi stupiva che avesse iniziato con lui il gioco della schiava e del padrone. 

Era bellissima. Mi scrisse e io mi sentii tristissima nel leggere quelle parole.  Quel superlativo assoluto toccava un tasto dolente. Non ero bellissima, non lo sarei mai stata. Non ero nata tale, non potevo diventarlo. Volevo che mi vedesse bella? Non mi aveva mai vista, ma ero convinta di non esserlo  a sufficienza e la bellezza delle altre mi metteva in difficoltà. Ero gelosa e non volevo ammetterlo neanche a me stessa. 

Non vedersi mai. Incontrarsi mai. Questo era stato il patto di Mister X e di Justine. Solo l'ardore delle parole e le la fantasia che queste sanno creare con la suggestione che  un maestro con la sua abilità riesce a trasmettere. Sono affascinanti le parole, carezzevoli e desiderabili. Le sue creavano una dipendenza che io conoscevo fin troppo bene. 

Hai un dono grande. Gli scrissi una volta. Non è importante il dono. E' importante chi sa apprezzarle le parole. A quel tempo avevo banalizzato. Ero davvero convinta che lui avesse un dono e che lo utilizzasse per ammaliare ignare fanciulle per il proprio piacere. Non hai capito niente di me mi scrisse. Era vero. Non avevo capito nulla, o meglio, avevo capito troppo e la mia anima non riusciva a reggere il peso di quello che aveva percepito così lo negava con forza, lo sminuiva e lo sporcava nel tentativo di metterlo in ombra. Ma questo lo avrei capito solo molto più avanti. 

Per puro caso Justine era studentessa universitaria nella sua stessa città.

Ora chi come me crede, sa che nel caso opera la mano di Dio. Chi non crede impara a vedere nella sua storia e in quella delle persone che ha di fianco, come il caso sia sempre così poco casuale.  Quante volte diciamo : "per caso è accaduto questo" ed era esattamente quello di cui avevamo bisogno? 

C'era il luogo, c'era l'affinità creata dal virtuale, c'era l'occasione: il collare. Quello che lui aveva fatto per lei, tagliato e lavorato, cucito e ricamato, con ogni dettaglio che fosse giusto per lei. Invidiavo Justine? Sì e in questo caso non ero neanche stata capace di mentire troppo a me stessa per dire non è vero. Avevo paura di lei  e soprattutto del legame profondo che il modo delicato e dolce con cui lui la descriveva lasciava sottintendere. 

Si incontrarono. Questo mi era apparso scontato.  I dettagli del come e del quando, del perché sono da lui stesso scritti nero su bianco. Sarebbe un atto infame da parte mia anche solo cercare di ripeterli. Non ho sua bravura e non ho neanche la volontà di farlo. 

Lui l'aveva guardata, dominata, amata. Allora perché quel collare senza collo? 

Che fine ha fatto Justine? 

Non c'è più. Mi rispose. Ho conservato di lei solo una foto.

Una pugnalata avrebbe fatto meno male, credo, adesso come allora. La morte, implacabile e irreversibile gliela aveva strappata senza ritegno e senza pietà. 

Anche se la curiosità mordeva le mie carni non ebbi il coraggio di approfondire di chiedere i dettagli. Come era morta? In quanto tempo? Come aveva restituito il collare? Per quale motivo lo aveva fatto? Sono domande che rimarranno senza risposta e dato che il cervello poco accetta i vuoti, li colma con la fantasia. Io immaginai una donna malata, che sapeva di avere ancora poco tempo da vivere di fronte a se e che trova il coraggio di vivere un'avventura che altrimenti le sarebbe stata preclusa. Incontrare il Padrone, uno sconosciuto, e vivere con lui forse anche solo la follia di un giorno. Non so neanche quante volte si sono incontrati. Una? Più di una? Eppure lei gli regalava le rose. Non voleva dire un banale "Ti amo" voleva dimostrarlo in modo diverso ogni giorno. 


Parola di Mia CagnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora