7 - La storia

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Fu per questo che scrissi una storia che aveva come argomento principale il BDSM?
Non credo. La verità era che continuavo a desiderare senza capire ed avevo finito per odiarla quella pratica.

Si può essere così stupide da pensare che un padrone ti possa prendere, ti scopi da Dio e poi finisca anche per innamorarsi di te?  Questi uomini vogliono solo sesso.
Usarti e poi lasciarti.
Allora scriviamola la verità. Qualcuno che la scriva ci dovrà pur essere, no?

Decisi che l'avrei scritta io una storia del genere. Pochi capitoli, una decina al massimo. Lei che incontra questo lui, fanno tanto sesso e poi lui la lascia. Questa doveva essere la trama a grandi linee. 

Sciocca, sempre più sciocca.

Potevo mai sapere che avrei iniziato un percorso alla scoperta di me stessa? Per fortuna non lo immaginavo altrimenti mi sarei tirata indietro prima di partire.

Al contrario mi sentivo al sicuro. A parte mio marito nessuno sapeva dei miei scritti, nessuno conosceva la mia identità, e poi diciamocelo a quarant'anni suonati chi poteva mai interessarsi a me? Nessun rischio, massima libertà.
Questo era quello che volevo.

Il primo capitolo fu un'ispirazione. Poche parole ben costruite. Quelli che seguirono furono difficilissimi. Cosa pensa un dom? Cosa dice? Cosa si comporta? Io non ne avevo mai conosciuti!

Non mi piacevano molto i risultati dei miei tentativi, ma pubblicai ugualmente. Non avevo molti lettori e anche i pochi voti che ricevetti mi sembravano più di incoraggiamento che di vero apprezzamento, nonostante questo continuai.

Ad un certo punto ci presi gusto. Le scene erotiche non erano banali, iniziai ad entrare nei personaggi.

Scrivere richiedeva tempo e attenzione ai dettagli: gesti, movimenti, espressioni e reazioni non solo fisiche ma psicologiche di lei e anche di lui. Ero dentro la storia e la vivevo ogni volta in prima persona.

Alcuni aspetti del Bdsm mi erano fin troppo chiari, come se mi appartenessero da sempre.

Il respiro era determinante così come l'attrazione, il gioco, la complicità.  E non solo quello. Potevo spiegare cosa significasse mettersi in ginocchio meglio di chiunque altro.  Lo avevo fatto tante volte in fondo, non in un contesto erotico certo, ma l'essenza l'avevo acquisita bene.   Piegare il corpo  era solo il primo passo, l'atteggiamento interiore doveva trasformarsi in maniera radicale per  poter anche solo pensare di sottomettersi a qualcuno.

Man mano che i capitoli scorrevano io crescevo come scrittrice e la storia con me.  I lettori aumentavano, i voti anche, ogni tanto iniziava a comparire qualche commento entusiasta.

Se solo non avessi creato un protagonista così affascinante, forse non avrei finito per innamorarmene. Aveva tutto quello che ogni donna avrebbe mai desiserato: ricchezza, charme, potere  e soprattutto aveva quello che io avevo sempre desiderato: era l'uomo dei miei sogni. Bellissimo, magnetico, intrigante e  forte, non di forza fisica ma di quella interiore.

In un mondo di uomini che pesano sulle spalle delle donne per pigrizia e per debolezza,  volevo qualcuno che camminasse da solo a testa alta, senza incertezza alcuna.

Lo descrissi in questo modo. Lo ammirai in questo modo e senza rendermene conto iniziai a cambiare.

Quando cominciarono ad arrivare i primi messaggi privati, sorrisi divertita.

«Sono un dominatore, vuoi essere la mia schiava?»

La mia risposta fu: «Sono una dominatrice, vuoi essere tu il mio schiavo?»

Uomini, donne, giovani, vecchi, mi scrissero in tanti.

Io dicevo a tutti la stessa cosa: non sono interessata ne a sessaggiare, ne a relazioni sentimentali.

Cercavano tutti la stessa cosa: sesso. Io ero convinta che nella realtà fossero alla ricerca tutti di qualcosa di più profondo a cui non sapevano dare un nome.

Parlavo con tutti. Con chiunque riuscisse a superare la fase: « Me lo fai diventare duro. » e desiderasse qualcosa di vero. Chiacchiere innocue.

E mio marito? Lui mi osservava. Leggeva quello che scrivevo, si commuoveva, e mi stimolava a fare di più e meglio.

«Credo che dovresti fare sesso con un altro.» mi disse un giorno.

La mia risposta fu una faccia disgustata. «Voglio solo te.»

Quel giorno lasciò cadere l'argomento. Non si arrese però. Ogni tanto tornava alla carica.

«Quel tipo ti guardava le gambe, ti piace? Te lo scoperesti?»

Io sospiravo e lui continuava a battere sullo stesso argomento.
«Ti ho sognata mentre facevi sesso con i muratori che lavorano alla casa accanto.»

Io ridevo. Di lui, delle sue parole che consideravo uno scherzo, delle nostre infinite conversazioni in cui continuava a ripetere che dovevo farlo.  Però sognavo. Desideravo.

La verità che non potevo confessare neanche a me stessa era che lo volevo anch'io, avevo solo paura di dirlo ad alta voce.

E qui arrivasti tu.

Parola di Mia CagnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora