Capitolo undici

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Samsung notes- smartphone di Taehyung

- NESSUNA NOTA SCRITTA -

Probabilmente non scrisse niente nei giorni seguenti all'aggressione; non tanto per riprendersi dal colpo, tutto sommato, se le era cavata con un cazzotto sotto lo zigomo e un paio di calci.
Per lui forse era troppo parlarne di quella che era successo a pochi giorni dopo, io invece, mi ricordo ogni attimo di quella sera.

Io con Taehyung ho imparato l'arte dell'aspettare, avevo capito che se lo volevo, dovevo pazientare: lui non era uno che si lanciava subito tra le braccia di una persona, ne in amicizie ne tanto meno in amore: doveva esaminare, doveva capire e studiare chi aveva davanti e poi, si decideva a donarsi. Forse con me aveva fatto qualche eccezione, aveva azzerato un po' I tempi ma comunque, rimasi in attesa.
Anche se non può sembrare dalle poche note scritte da lui, era passati mesi da quando io e Taehyung ci conoscevamo, per l'esattezza si avvicinavamo ad un anno; ho aspettato quasi un anno intero per averlo.

Ci sono voluti tre giorni per risentirci dopo quell'accaduto: io non alzai mai la cornetta del telefono per chiedergli come stesse e lui altrettanto per farmi sapere se era vivo o meno, io ho la mia scusante: Avevo paura di quello che lui potesse dire dopo il bacio, capite che, aspettare mesi e mesi per baciarlo e poi aver paura di sentirsi dire che era stato tutto uno sbaglio:io me lo aspettavo che quelle parole: «scusami ma non è stato un malinteso .» uscissero dalla sua amata bocca ed io, non volevo sentirle perché per me quel bacio era tutto altro che uno equivoco, non era un errore, era tutto ciò che avevo desiderato e bramato.
Lui era il migliore amico di Jimin, era etero, era fidanzato: per quanto si sforzasse di pensarla diversamente doveva vederlo per forza come un errore da non commettere ma più ma d'altra parte, c'ero io che non accettavo che accadesse una cosa simile, non a noi due. Ne avevo sentite di storie tramite amici innamorati di alcuni "etero" che in seguito dicessero frasi simili: ma noi non eravamo loro, non eravamo nessuno, né Jimin né Mia né nessuna persona presente al mondo.

Io pensai solo ai miei, di sentimenti, ma qualcuno, dall'altra parte della città, più che confuso era impaurito lui stesso delle sue emozioni.

Tre giorni dopo, una sera lui mi chiamò.

"Pronto?" Ricordo che tenevo il telefono appoggiato tra la spalla e l'orecchio a sfornare una pizza conservata dalla serata prima riscaldata nel forno, ero appena rientrato dal turno serale di lavoro.
Vidi il suo nome sullo schermo, cercai di assumere un tomo più pacato possibile.

"Jungkook? Sono io."

"So chi sei..." risi di gusto a quella frase, dal suo tono di voce si percepiva l'imbarazzo.

Dopo minuti di silenzio, gli chiesi se era ancora in linea.

"Taehyung? Sei in linea? Dove sei?"

"Si... sono ancora in linea..."

"Tutto okay? È successo qualcosa?"

"No... ecco io..."

"Avanti parla..." Li incoraggiai a parlare, mentre appoggiavo la piccola teglia sul tavolo, sfilandomi il guanto per in bruciarmi.

"Tae? Dove sei?" Incominciai a pensare all'impossibile, che fosse successo qualcosa, di nuovo.

"In realtà, io sono fuori casa tua."

Con ancora il telefono tra le mani e la chiamata ancora aperta, uscì dalla cucina e mi avviai verso la porta d'ingresso, ci misi un attimo prima di aprirla pensando che fosse tutto uno scherzo, che non era vero che lui fosse dietro a quella porta, a pochi metri da me.
Quando aprì, la luce ovattata del drone del palazzo avvolgeva il corpo di Taehyung fermo davanti al 'uscio della mia porta.

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