𝗽𝗲𝗮𝗰𝗵 𝗰𝗼𝗯𝗯𝗹𝗲𝗿

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Poso l'ultimo scatolone dentro al magazzino, mi appoggio contro allo stipite cercando di scrollare la polvere dalle mani.

Mi ha fregato.

Con tutte le scarpe.

Mi sta usando per svolgere lavori manuali al posto suo.

«Sei stanco?»

Alzo un sopracciglio.

Porschè posa uno straccio dentro al ripiano del bancone, mi lancia una velocità occhiata.

Sorride.

Sembro un fenomeno da baraccone, vero?

«No, affatto. Ora, vuoi andare a mangiare qualcosa?»

«Mmh, no. Possiamo salire al piano di sopra, c'è ancora qualcosa in frigo.»

Chiude la porta che conduce verso la cucina, di fianco a me.

Indica con la mano le scale ripide che conducono al piano di sopra.

«Andiamo, su su na.»

Salgo le scale davanti a lui, mi fermo soltanto quando arrivo di fronte la porta di legno con lo zerbino davanti quest'ultimo.

Sorrido un po'.

Chè se ne accorge, si fa da parte per lasciarmi entrare.

«Quei tre pinguini rappresentano me, mia madre e mio fratello.»

«Davvero?»

Poso la giacca sopra all'appendiabiti sull'entrata, mi levo le scarpe davanti al gradino.

«Mia madre ama le cose particolari, non posso farci niente.»

Accende la luce della cucina che sta sulla sinistra, mi richiama con lo sguardo.

È piccolina.

L'arrendamento è come le tipiche case thailandesi: un forno, il fornello, un cuoci riso posizionato su un ripiano, persino un microonde con sopra attaccati dei magneti.

Il tavolo rettangolare al centro della stanza è ricoperto da una tovaglia bianca, sopra c'è un centrino colorato a forma di pesca che sta sotto al vaso di rose secche.

«Non mangiamo qui, ma nell'altra sala.»

«Eh?»

«Non mangiamo qui, ma di là.» Ripete ancora, prima di estrarre un contenitore rosso dal frigo. «Vai in salotto, aspettami lì.»

Mi avvicino al suo orecchio, sussurro piano con un sorriso sulle labbra.

«Siamo passati dagli insulti a cenare assieme, Porschè?»

Mi dà una gomitata sullo stomaco.

Che riesco ad evitare, ridendo dietro di lui.

Poco prima di raggiungere l'altra stanza di fronte.

Il salotto.

Mi siedo di fronte al tavolino basso, a gambe incrociate.

Le pareti della stanza non sono bianche come quelle della cucina, ma sembrano pronte ad inglobarmi come se fossi immerso sul fondo dell'oceano.

Blu scuro che si schiarisce agli angoli, pennellate scomposte che sembrano come le opere d'arte contemporanee dei musei del cazzo a cui mi portava Payu per "farmi apprezzare la vera essenza dei pittori attuali".

Il divano scuro contro cui appoggio la schiena è il doppio di me, a penisola. Potrebbe contenere almeno cinque persone.

È morbido.

☽ 𝗵𝗶𝗴𝗵 𝘀𝗰𝗵𝗼𝗼𝗹 𝘀𝘄𝗲𝗲𝘁𝗵𝗲𝗮𝗿𝘁𝘀 ᵏᶦᵐᶜʰᵃʸDove le storie prendono vita. Scoprilo ora