21 - Ritorno

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Una volta fuori dalla Stazione Centrale di Napoli, Alessio alzò la mano per parare gli occhi dai raggi del sole. Non vedeva una mattinata così luminosa a Milano da quasi tre mesi. C'era sempre quello strato di bianco sporco tra la città e il cielo, nebbia che lo costringeva a stringersi nella sua vita e vedersi succhiare via la voglia di assaporare il verde dei parchi e i sorrisi della gente per strada.

Ignorò i tentativi di imbroglio da parte di alcuni venditori e alzò la mano verso Mirko alla guida della sua Peugeot nera. Il suo migliore amico rispose premendo brevemente sul clacson e Alessio trascinò la sua valigia verso l'automobile parcheggiata a bordo strada.

Noto anche la presenza della sua fidanzata Clara accomodata sui sedili posteriori. Gli sorrideva e Alessio fece lo stesso alla sua vista. C'era quella tacita regola per il quale quando i tre erano insieme era lei a dover stare seduta dietro e la cosa lo faceva sempre ridere.

«Ben arrivato, polentone!» lo prese in giro Mirko.

Alessio rise e subito si sentì a casa. L'energia nera causata dal vivere a Milano e da tutti i cambiamenti accaduti nella sua vita fu preda di tutta la luce che solo Napoli e i suoi angoli potevano infondergli.

Aprì il bagagliaio e ci riposa la valigia al suo interno. Entrò in macchina avvertendo i suoi piedi a un metro dal suolo e non vide l'ora di radicarsi nei suoi luoghi di sempre in quei mesi di fine sessione.

«Come state?» chiese loro, sorridendogli.

Notò che Mirko era ingrassato di qualche chilo e dovette ammettere che stava molto meglio così. Clara, dal canto suo, aveva i capelli più lunghi e gli occhi azzurri sempre limpidi e buoni.

«Noi bene» rispose il suo migliore amico, per poi mettere in moto l'automobile, «tu piuttosto?»

«Raccontaci come sta andando!» s'intromise Clara.

Alessio aveva già pensato durante il suo viaggio in treno a come avrebbe dovuto rispondere a domande simili. Tagliare via un grosso pezzo di verità ai suoi amici gli pareva qualcosa di inumano, ma ormai aveva fatto pace con l'idea che di umano c'era ben poco in quel mondo che scorreva oltre i finestrini.

«Milano mi piace molto. Ha tutto ciò che Napoli purtroppo non riesce a offrire, partendo dai servizi più disparati ai trasporti» disse loro, avvertendo un piccolo moto di fierezza nel petto nel pensare che in quella città grigia e futuristica lui ci abitava. «Sono al passo con gli esami e i corsi mi piacciono parecchio. Poi ho fatto subito amicizia con altri studenti, quindi non soffro la solitudine.»

Ci tenne a sottolinearlo un po' per farlo da promemoria a se stesso, visto che quella era la sua paura più grande prima di partire e lui era riuscito a sconfiggerla. Alessio Forgia, da sempre conosciuto per la sua iniziale timidezza e la sua tendenza a chiudersi in enormi mura di cinta, era riuscito a farsi nuovi amici in una città che non era Napoli.

Il legame più solido che aveva costruito a Milano, però, doveva tenerlo fuori da ogni frase: quello con l'Ematolagnus dentro sé. Il parassita che aveva cambiato tutto, che avrebbe congelato il suo corpo e la sua età nel tempo e che lo rendeva ghiotto di sangue.

E di nuovo l'idea di non poterlo dire ai suoi amici, di rendersi nascosto a un cielo che ne aveva sempre visto ogni suo angolo, fece male allo stomaco.

Dal canto suo Mirko gli raccontò del lavoro che faceva in un'importante azienda di fornitura del gas e Clara del suo ultimo anno al liceo e di quanto non vedeva l'ora di cominciare l'università di scienze dell'educazione.

Parlare di futuro fu l'esatto strumento che portò Alessio a realizzare che l'adolescenza era giunta quasi al termine. Lo pensò proprio mentre l'automobile correva su Via Caracciolo e il mare si perdeva a vista d'occhio. Il Golfo di Napoli racchiudeva la bellezza della terra e dell'acqua da cui si era strappato, il tutto osservato dall'imponente figura del Vesuvio solleticato dalle centinaia di case costruite poco sotto di lui.

Città di sangue [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora