12 - Umano

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Alcuni fili d'erba solleticarono le caviglie di Alessio che rimpianse la scelta di non aver indossato calzini più lunghi, tra l'altro una sensazione di umido sotto il fondoschiena gli fece pensare che forse il prato del campus non si era ancora del tutto asciugato dalla rugiada.

Davanti a lui, invece, Lorenzo non parve disturbato all'idea di essersi seduto su una massa d'erba che non apparteneva più all'estate.

Nonostante gli occhi navigassero tra le parole scritte sulle pagine del libro di diritto civile, Alessio non vedeva altro che la difficoltà di stare a ridosso tra due mondi; un piede in quello fatto di vampiri, streghe e antiche maledizioni e l'altro piede in uno in cui voleva laurearsi e diventare un avvocato.

La vita attorno a lui cantava, accompagnata da una lieve melodia di normalità che un tempo riusciva ad ascoltare anche lui senza sentirsi fuori posto. Il profumo della carta e dell'inchiostro delle biro erano un porto sicuro in cui niente e nessuno poteva fargli del male. Non seppe dirsi se l'essere stato inserito nella parte più tenebrosa del mondo lo avesse aiutato a prendere quei piccoli problemi di vita in un modo più leggero. In fondo, quando ci pensava, si sentiva parecchio pronto agli esami universitari che avrebbe dovuto affrontare a breve.

Ripensò poi a una battuta di Giulio in cui gli suggeriva di alterare lo stato mentale del professore in modo da alzargli i voti, ma Alessio non l'aveva nemmeno presa in considerazione come ipotesi. Essere infetto da Ematolagnus Albus non doveva equivalere al dimenticare la propria umanità, nemmeno tutte le debolezze che comportava averne una.

Si soffermò poi con lo sguardo sul suo amico, così in armonia con lo sfondo di studenti che passeggiavano e altri seduti a pochi metri da loro. I riccioli castani apparivano quasi biondi al cospetto del debole sole di ottobre, quasi come una macchia dorata sotto un cielo che ogni tanto minacciava di colorarsi di grigio.

«Ho qualcosa tra i capelli?» gli chiese l'amico.

«No, solo che non avevo mai notato che fossero così chiari.»

Lorenzo alzò gli occhi verdi verso di lui e aggrottò la fronte.

«Ti senti bene? Sono settimane ormai che sei strano.»

Alessio provò a trovare una scusa a quella constatazione. Poteva appoggiarsi alla preoccupazione per gli esami o alla pesantezza del stare dietro alla cura del bilocale in cui abitava, lontana dalla famiglia e dagli affetti di sempre. Eppure le parole morirono, fagocitate dalla consapevolezza che in effetti tutto era strano nella sua vita. Attratto dal sangue, immortale e indistruttibile. Nulla poteva essere normale in quelle condizioni.

«È per Tito?» aggiunse Lorenzo, ipnotizzato dal silenzio dell'amico.

Il giovane vampiro aveva pure dimenticato del trasporto che il suo compagno di università provava per lui. Il dolce Tito, perennemente nascosto dietro ai suoi occhiali e sempre con uno sguardo riservato per lui attraverso le file di banchi. Tutto però veniva assorbito dall'immenso buco nero che era la nuova realtà che stava vivendo, come se le problematiche umane fossero ormai solo finissima polvere quasi invisibile.

«No, un po' tutto, ma passerà» si limitò a dire Alessio, sperando con tutto il cuore di riuscire ad adattarsi alle terre sconosciute che gli si presentavano davanti agli occhi ogni giorno.

Pensò al sangue che aveva bevuto quella mattina al posto del solito caffelatte con i biscotti, che nemmeno comprava più vista l'inutilità che rappresentava il cibo umano. Poteva mangiarlo, ma non lo saziava. Il parassita distruggeva tutto ciò che non fosse sangue e quindi non gli andava di spendere soldi per alimenti che non gli servivano più.

La sacca di plasma nello zaino, ovvero l'evenienza a un attacco di sete improvvisa, gli ricordava che di umano non c'era più niente, che il campus in cui stava passando quegli istanti prima della lezione o gli esami universitari per cui si stava preparando forse erano un'immensa perdita di tempo.

Città di sangue [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora