24 - Ludovico

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«Ricordi quando venivamo qui?»

La leggera brezza fresca d'estate scompigliò i capelli dorati di Ludovico insieme agli steli d'erba su cui erano seduti. Gli occhi neri del ragazzo gli sorrisero e Giulio fece lo stesso, nonostante sapesse che non era reale.

Le iridi di Ludovico erano totalmente diverse da quelle di Alessio, scure al punto da sembrare un mare d'inchiostro, ma se le osservava bene poteva notare quanto fossero simili a pozze di cioccolata fondente.

In realtà, pensò, erano diversi in tutto. La pelle di Ludovico era più scura di un tono rispetto a quella di Alessio e il viso tondeggiante era un po' più piccolo, caratterizzato da lineamenti infantili e vispi che rappresentavano alla perfezione il suo animo di fuoco.

L'unica cosa che avevano in comune era il loro essere esili e bassi che Giulio trovava tenero come dettaglio, messo in confronto con la sua altezza e robustezza.

«Sì, lo ricordo bene» disse il vampiro.

Ed era vero. Se chiudeva gli occhi, nonostante fossero passati cinquecento anni, riusciva ancora a sentire il vento che sferzava sui loro volti quando andavano a cavallo insieme e le braccia snelle di Ludovico cingergli i fianchi. Lo pregava sempre di non correre troppo, ma Giulio proprio non riusciva a fare a meno di sentire l'adrenalina che solo una corsa a cavallo poteva dargli.

La piccola collina su cui si trovavano dava un villaggio poco distante da Firenze e alle loro spalle potevano vedere il fiume Arno tagliare la città, avvolto dai ponti sempre affollati di gente e carrozze.

«Ti mancano questi momenti? Ti manca mai essere umano, Giulio?»

Il vampiro scosse il capo.

«Ormai associo i miei giorni da umano a giorni in cui la tua famiglia o gli altri mi trattavano come essere inferiore» ammise Giulio.

Lo sguardo di Ludovico risultò illeggibile e il vampiro proseguì: «La prima cosa che ho fatto quando il Corvo mi ha trasformato è stata chiedere di te a tuo padre che mi disse di averti ucciso e io ho fatto poi lo stesso con ogni membro della tua famiglia.»

«Se lo sono meritato» scherzò l'altro.

Giulio si stese sul prato e guardò ciò che aveva addosso. Erano proprio i classici capi che avrebbe indossato all'epoca: una blusa in lino color panna e dei vecchi pantaloni in tela marrone che avrebbero avuto bisogno di qualche rattoppo.

Cullato dal vento e dal solletico che gli faceva l'erba profumata tornò con la mente al momento in cui in piena notte buttò a terra la porta di casa Adimari e uccise chiunque provasse a fermare la sua avanzata verso il padre di famiglia.

Ricordò di aver spezzato i colli di tutta con la stessa facilità che avrebbe impiegato nel rompere uno stuzzicadenti, il suono e i gemiti di dolore che nutrirono la sua bestia interiore fino a farla straripare.

Non bevve nemmeno una goccia di sangue dal padre di Ludovico e dopo che gli ammise di aver ucciso il suo stesso figlio e di averne conservato le ceneri in un'urna lì sul caminetto rammentò di essergli saltato addosso e di avergli infilato entrambi i pollici nelle orbite oculari.

Era ancora vivo e sanguinante quando poi gli aveva afferrato la testa per poi costringerla tra le fiamme del focolare. Ne lasciò la presa solo quando aveva cominciato a sentire puzza di carbone nell'aria e fu quello l'esatto momento in cui aveva capito che certe vendette potevano regalare attimi di immensa felicità.

«Anche se non sono più con te mi dà parecchio fastidio sapere che ami Alessio» ammise Ludovico, ancora seduto. Non guardava più il villaggio. I suoi occhi piccoli e neri sembravano studiare Giulio alla ricerca di qualcosa che il vampiro non capì.

Città di sangue [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora