9 - Giudecca

36 7 23
                                    

Alessio sollevò lo sguardo verso il tubo al neon intrecciato che formava la parola Giudecca e socchiuse gli occhi alla mercé dell'intensa luce violetta.

"Dove risiedono i traditori dei benefattori" pensò tra sé e sé, tornando con la mente a quando aveva studiato la Divina Commedia al liceo e aveva letto per la prima volta quella parola. Il ragazzo si guardò intorno e poté notare quanto i normali esseri umani, con i loro inebrianti profumi, ignorassero l'ingresso del locale.

Era un ampio arco fatto di mattoni e nella chiave di volta era inciso un pipistrello. Trattenne una risata di cui non seppe spiegare la natura e si voltò verso Giulio.

«Sembra carino.»

«Te l'avevo detto» sorrise il vampiro all'apparenza sinceramente felice nel sentirsi dire una frase simile da un novellino. Glielo poté leggere nelle luminose rughette ai lati degli occhi.

Dal canto suo Geremia era in silenzio e fissava ancora l'insegna del locale, come se non l'avesse mai vista prima di quel momento. Gli occhi dorati ridotti a due fessure feline sembravano stessero vedendo qualcosa che andava oltre alla semplice pietra e al neon.

Oltre la soglia del locale Alessio intravide una scalinata che portava verso il basso e i gradini irregolari davano un tocco di antico all'ambiente. Fece per compiere un passo in avanti, ma un odore familiare lo spinse a voltarsi. Ferro e cioccolata.

Lorenzo si era appena fermato insieme a Tito, che subito divenne rosso quando si accorse della sua presenza, e a Giada.

«Alla fine sei uscito!» constatò il suo amico riccioluto, senza nemmeno provare a nascondere l'acidità nel tono di voce. I suoi occhi verdi, poi, scandagliarono immediatamente le figure di Giulio e Geremia, che si era appena voltato verso di lui con aria annoiata.

Alessio provò a dire qualcosa, ma dalla sua bocca uscirono solo mugugni privi di significato. Era come se la saliva si fosse prosciugata e qualsiasi bugia avesse partorito la sua mente avrebbe fatto tanta fatica a saltare fuori.

«Nessuno di voi tre ha visto Alessio stasera e nessuno di voi tre lo vedrà per il resto della serata» ordinò loro la voce di Geremia, lenta e ferma. Poteva suonare come un comando, tuttavia Alessio poté notare quanto in realtà l'ipnosi appena applicata era leggera e melliflua. Glielo avevano spiegato, seppur non troppo approfonditamente visto la sua giovane natura. Era come infilare una chiave in una serratura. Movimenti disordinati l'avrebbero resa un'impresa difficile, quindi bisognava farlo con dolcezza. I più esperti addirittura potevano farlo senza parlare, ma a detta loro c'era meno gusto.

I tre amici non se lo lasciarono ripetere un'altra volta. Per una frazione di secondo le loro palpebre si chiusero con violenza, come per reazione a un oggetto appena lanciato, poi girarono i tacchi e si allontanarono, continuando a parlare con tranquillità.

«Non c'era bisogno» lo rimproverò Alessio. Erano pur sempre suoi amici, uno dei tanti legami con quella vita umana che non voleva dimenticare.

«Tutto quello di cui invece non ho bisogno io sono inutili discussioni umane» sibilò Geremia, chinandosi verso il giovane, che subito sentì l'urgenza di compiere un passo indietro.

Giulio si interpose tra loro. «Che ne dite di entrare?»

Geremia annuì e fu il primo a varcare la soglia. Giulio invece poggiò delicatamente la mano sul fianco di Alessio e lo tirò a sé. Il ragazzo alzò il capo e trovò ancora una volta il sorriso del vampiro ad accogliere i suoi occhi. Subito distolse lo sguardo e avvertì l'imbarazzante calore a colorargli le guance di rosso, spingendolo ad affrettare il passo e a raggiungere Geremia lungo le scale.

Sulla parete destra di esse Alessio si fermò per un breve secondo a leggere una frase intarsiata su una finta pergamena fatta di legno appesa alla pietra: "Preparatevi ad avere orecchie umane".

Città di sangue [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora