1 - Fine

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Alessio Forgia si guardò intorno. Le luci colorate sfrecciavano come fulmini sul mare di gente danzante e, per quel poco che poteva vedere, sorrise alla vista dei suoi amici divertirsi. Era in piedi su un divanetto e non sapeva nemmeno come ci era finito.

Provò un improvviso brivido di freddo, ma si disse che forse era colpa della camicia verde sbottonata più del dovuto o del gelido bicchiere di plastica che stringeva in mano.

Continuò a ondeggiare a ritmo della musica che secondo dopo secondo diventava un pochino sempre più ovattata. Le parole di Lorenzo risuonarono chiare in testa, proprio come se gliele avesse sussurrate in quel momento: "vacci piano, visto che non reggeresti nemmeno rum e cola!"

Il suo amico si stava divertendo insieme agli altri e ogni tanto gli buttavano uno sguardo come per assicurarsi che stesse bene. Era da poco, in fondo, che Alessio si era abbandonato alle discoteche gay e a quella musica che sembrava non avere né capo né coda; quindi immaginò che vederlo lì, per loro, fosse come assistere al passaggio di una cometa.

Il tocco improvviso di una mano fredda si insinuò sotto la sua camicia, all'altezza della vita, e Alessio guardò in basso. Scontrandosi contro gli occhi di un uomo dallo sguardo famelico. Le sue insignificanti iridi parevano riflettere soltanto le luci rosse che ogni tanto si alternavano agli altri colori, facendolo apparire come indemoniato.

Il ragazzo, con un colpo, allontanò la sua mano ruvida e sibilò: «Gira al largo, nonno!»

L'uomo diventò paonazzo e non se lo fece ripetere due volte. Fiero di se stesso, Alessio riportò lo sguardo sui suoi amici, ma nessuno di loro lo stava guardando.

Scese dal divanetto con un salto e si fece spazio tra le persone per raggiungerli, ma la sua strada fu tagliata da qualcuno che non avrebbe mai immaginato di vedere.

Chi era lì vestiva con poco. Alcuni erano addirittura senza maglietta, ma il tizio che gli si pose davanti era coperto dalla testa ai piedi. Una lunga tunica nera leccava il pavimento sporco e un cappuccio parecchio largo gli copriva la testa nascosta da una grossa maschera da cavallo.

Gli occhi grossi, inespressivi e di plastica spinsero Alessio a trasalire. Nascose il proprio sguardo confuso alla vista di chi era lì sotto e provò a superarlo, ma alle sue spalle apparve un altro tizio vestito proprio come lui.

A primo acchito parevano dei monaci grazie a quelle lunghe vesti. L'unica differenza stava nella maschera. L'uomo che avanzava verso di lui ne indossava una identica a quella che avevano gli antichi medici della peste che vedeva sempre raffigurati nei libri di storia.

Il lungo becco minacciava di puntargli il volto, ma la cosa più strana fu l'istinto che si appropriò del corpo e della mente di Alessio.

Fu come avere l'inverno nelle vene al posto del sangue. La paura aveva attutito ogni suono circostante, oscurato ogni colore che potesse tenerlo sveglio e vivo. Ne sentì i fili penetrare nella pelle e collegarsi ai muscoli, controllarlo come se fosse stato una debole marionetta e spingerlo a indietreggiare.

In fondo era a Milano, si disse. Le persone lì, a volte, tendevano a uscire fuori dagli schemi. Erano solo due tizi mascherati che magari avrebbero desiderato portarlo in una dark room. Eppure quell'improvvisa sensazione gli diceva che tutto era molto meno banale di ciò che credeva. Era giusto avere paura. Era giusto allontanarsi.

Alzò una mano verso i suoi compagni, visto che Lorenzo stava ballando rivolto verso di lui, nonostante non si fosse accorto che l'amico era a pochi metri di distanza, separato da qualche persona di mezzo.

«Lore!» urlò Alessio, agitando entrambe le braccia in alto.

Il suo amico non sembrò affatto notarlo. Gli occhi accarezzavano anche la sua figura, ma parevano andare oltre. Gli sembrava strano vedere Lorenzo divertirsi in quel modo nonostante la presenza di quei due.

Città di sangue [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora