XXXII.

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La mia sveglia suonò presto, erano le 06:00 del mio 39esimo giorno a casa ed il sole ancora non si era fatto vedere molto fuori dalla finestra.

Stavo finalmente bene.
Il 19 Giugno 2015 potevo dire di stare bene.

Certo, avevo un vuoto nel pezzo che a malapena mi faceva respirare, ma stavo fisicamente bene, e questo vuoto mi dava la giusta carica e la motivazione per tornarmene in America e prendere a calci quella stronza e le sue puttanelle.

Mi alzai dal letto e percorsi gli enormi corridoi della casa di famiglia.
Era bello poterlo fare con le proprie gambe.

Quando arrivai in cucina tutto era pronto per la mia colazione.
Ma tutto questo mi ricordava quando mi mancasse Daisy.

La cameriera fece un inchino verso di me quando mi vide entrare scalza e con la maglia di mio fratello addosso.

"Contessa la colazione è servita."

"Grazie."

Mi sedetti sulla sedia aspettando che un altro maggiordomo mi servisse della spremuta d'arancia nel bicchiere, rigorosamente di cristallo, di fronte a me.
Probabilmente non erano abituati a servire spremute in bicchieri di cristallo a una ragazza mezza nuda e con i capelli che non avevano un senso fra tutta questa lussuria e niente fuori posto.

"Buongiorno sorellina!"

Dietro di me Hugh, già vestito, si avvicinava alle mie spalle.

Appena mi fu dietro, prese la mia testa fra le mani e premette le sue labbra fra i miei capelli arruffati.

"Insomma sono l'unica che la mattina va a giro con le magliette e sotto solo le mutande?!"

Mio fratello rise mentre si sedeva e afferrava la sua tazza di caffè.

"Già ma nostro padre è fuori per lavoro no? Non lo saprà tranquilla!!"

Ridemmo insieme pensando che se davvero mi avesse visto girare in quel modo per casa sua, probabilmente mi avrebbe urlato contro dicendomi che solo le poco di buono girano in mutande.

"Dov'è G?"

"Andrò a prenderla io per poi andare all'aeroporto."

Era tornata a casa da qualche settimana. Mi sembrava giusto che avesse del tempo con la sua famiglia anche se l'avevo quasi obbligarla ad andare.
E l'aveva fatto solo perché sapeva che mio padre sarebbe andato via per un po' di giorni e non avrei dovuto affrontarlo da sola.

Da quando era uscita fuori la storia di Harry, Gi si era imbattuta spesso in mio padre facendo le mie veci.
Era una guerriera. Si era caricata tutto sulle spalle ed era andata a cozzarsi con lui, cercando di difendermi in tutti i modi.
Avrei dovuto convincere la regina Elisabetta a farle realizzare una statua davanti a Buckingham Palace suppongo.

"Ti accompagno anch'io all'aeroporto."

"Ma Hugh, papà dice che non è da noi accompagnare persone all'aeroporto..."

"Nostro padre non c'è!"
***
Avevo salutato mia madre, promettendole che sarei tornata presto, avevo fatto caricare le mie valigie in auto ed ero salita con Hugh, lasciando finalmente le soffocanti mura reali di Londra.
Ero passata a prendere Giorgia e ci eravamo diretti all'aeroporto di Heathrow.

Il mio volo sarebbe partito alle 11:15, arrivando a Los Angeles alle 13:30 ora locale.

Scalpitavo.

Stranamente non incontrai nessun fotografo appena uscita di casa, ma appena uscii dalla macchina per dirigermi dentro gli edifici aeroportuali, capii il motivo.

Let me be. || Harry StylesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora