"È finita"

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Ripresi i sensi non so quanto tempo dopo. Guardandomi intorno, capii di trovarmi in un ospedale, sul lettino, con vari tubicini e cose così accanto a me: la stanza era totalmente bianca, il pavimento di marmo. C'era una porta e una sola, piccola finestra, che dava su un paesaggio piuttosto spento, su una strada vuota, con qualche albero mezzo spoglio. Vidi del cibo e il mio cellulare sul comodino accanto a me e a terra una borsa di vestiti e altri miei oggetti personali. C'era anche il mio peluche, un morbido dinosauro verde con il collo lungo e sulle guance tre linee rosa. Era sul letto insieme a me. Lo strinsi.

Poi due cose mi colpirono: la presenza di Robin e di Cielo. Mi misi seduto a fatica, mentre loro, vedendomi, mi vennero incontro. Robin mi disse di far con calma, sistemandomi il letto sotto la schiena.

Li guardai, "Perché sono qui?". Robin mi guardava con aria preoccupata e sembrava incapace di proferir parola. Così fu Cielo a rispondermi, "Mi ha risposto Robin, quando avevo richiamato il tuo cellulare. Era in lacrime", la guardò, tornando poi guardare me, "e mi diceva che aveva dovuto chiamare un'ambulanza. Eri in ospedale, quando chiamai. Così decisi di venire". "Perché, però, sono qui?", passai lo sguardo da Cielo a Robin e poi nuovamente a Cielo, con aria interrogativa.

Robin mi guardò seria, "Davvero non ricordi?". Ci pensai un attimo. Mi rivenne in mente la chiamata di Cielo, le sue parole. Ricordai il sangue cosparso attorno a me, in modo vago. Ricordai la lucentezza della lama nelle mie mani tremanti e offuscati dal pianto.

Devo aver fatto parecchie espressioni, perché Robin mi disse, "Così ricordi. O no?". Annuii piano alle sue parole, "Ricordo", risposi con un filo di voce. Alzai lo sguardo e l'unica cosa che mi uscì fu, "Scusatemi... è colpa mia". Robin spalancò gli occhi, mentre Cielo si limitò a guardarmi. "MA CHE COSA DICI! NULLA DI QUANTO SUCCESSO È COLPA TUA, NICO!", disse Robin, in preda alle lacrime. Lo sapevo. Se piangeva per colpa mia, perché dovrei essere ancora qui?

Robin fissò Cielo, alzandosi in piedi verso di lui, "Tu... è tutta colpa tua!", ringhiandogli contro. Lui si alzò a sua volta, malgrado più basso di lei, "Come scusa? Se il tuo amico è un depresso autolesionista mica è colpa mia!", disse, davanti all'espressione stupita di Robin, "Il mio amico è anche il tuo fidanzato e tu gli stai rovinando la vita!", ribatté allora.

Iniziarono a urlare e mi venne il panico. Sentii il mio corpo tremare, i miei occhi riempirsi di lacrime, il mio respiro corto, il mio cuore accelerare. In mezzo a quella rumorosa discussione, Robin si accorse di me e mi corse incontro, abbracciandomi, "Shhh, Nico, tranquillo, ci sono io. Scusa, non dovevo urlare". Mi accucciai nelle sue braccia e sentii il mio cuore calmarsi così come il mio tremare, al contrario delle lacrime, che uscivano a fiumi. "Mi dispiace...", sussurrai. Robin sospirò, tenendomi stretto stretto a sé.

Quando mi ripresi, mi scusai più e più volte per la scenata che avevo appena fatto. Poi, guardai Cielo, seduto su una sedia all'angolo della stanza. Chiamai il suo nome e lui si girò a guardarmi. "Ascolta", iniziai, "Robin ha ragione. Mi stai rovinando la vita, urlandomi contro cose orribili e dandomi colpe di cose che non ho mai fatto. Mi dispiace, se in qualche modo ho rovinato la relazione, magari quelle cose che mi dici le ho fatte davvero. Comunque sia, non posso ridurmi così per te. Per questo, ti chiedo gentilmente di concludere qui la nostra relazione e di uscire da questa stanza. È finita", dissi, con uno sguardo che non lasciava trapelare altro che il vuoto. Lui annuì, restando in silenzio, e uscì dalla stanza.

Quando sentii i suoi passi allontanarsi, scoppiai in lacrime, mentre Robin mi teneva stretto in uno di quei suoi dolci abbracci. Sapevo che era la miglior decisione da prendere, ma sapevo anche, anzi, ne ero certo, che non avrei retto una cosa del genere. Sapevo che, se solo me l'avesse chiesto, sarei tornato da lui, piangendo e chiedendo perdono.

Pensavo a tutti i possibili scenari con lui, a tutti i ricordi che non si sarebbero più potuti ripetere, mentre guardavo le mie braccia, segnate da moltissime cicatrici, lungo tutto il braccio. Mi tiraii un po' su i pantaloni celesti dell'ospedale e vidi altri segni, altre cicatrici. "Le hai ovunque...", sentii dire Robin. Mi alzai la maglia: erano anche lì. Mi accorsi che erano davvero ovunque. Alcune facevano davvero male, in fondo era successo solo la sera prima. Altre erano ormai cicatrizzate.

Mi strinsi ulteriormente a Robin. Odiavo il mio corpo, la sua pelle, le sue cicatrici. Ma soprattutto odiavo la mia testa, che già mi diceva di aver ferito Cielo, di dover rimediare, di tornare da lui.

Sapevo, che se non avessi retto, l'avrei fatto davvero.

La mia parola preferita è "cielo"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora