Robin aveva ragione, aveva fottutamente ragione.
Persi il conto, durante il quinto mese con Cielo, delle volte che l'avevo chiamata piangendo, dicendole che aveva ragione. Dopo un po' di tempo, Cielo aveva iniziato ad ignorare i miei messaggi, o a lasciare il visualizzato, aveva iniziato a dirmi che era impegnato, non c'era mai per me, quando lo chiamavo rifiutava le mie chiamate, dicendo che ero uno stupido perché dovevo avvertirlo prima di chiamarlo. Provai a parlargli di alcuni atteggiamenti sbagliati che aveva, e io ci cascavo ogni volta: io gli esponevo il problema, lui scoppiava in lacrime, scusandosi, dicendo che non lo avrebbe mai più fatto, e io gli credevo, lo consolavo, gli davo il mio amore per calmarlo.
Io lo pensavo e lo vedevo in ogni cosa che mi faceva sorridere, dedicavo a lui ogni canzone e frase d'amore, lo guardavo come fosse l'unica cosa che io avessi mai visto, come fosse il più bel fiore sulla terra, come fosse una casetta sull'albero dove sentirmi al sicuro, come fosse la mia medicina per calmare le mie crisi.
Lui mi urlava contro, mi insultava, mi trattava male, era freddo, era cattivo. Era eccessivamente possessivo, ma anche menefreghista. Non gli importava di quanto io potessi amarlo, per lui ero diventato una specie di passatempo, il suo sguardo non era più colmo d'amore, ma pieno di freddezza e distacco.
E quel suo sguardo mi faceva venire i più inimmaginabili sensi di colpa, perché mi diceva che era tutta colpa mia se eravamo diventati questo. Quando mi urlava contro, al telefono o faccia a faccia, io finivo per scoppiare a piangere in qualche bagno, il primo che mi capitava sottomano, toglievo la cover al mio cellulare e prendevo quella maledetta lama con la quale cominciavo a segnare gambe, braccia, qualsiasi parte della pelle potesse incontrare la mia mano tremante con quell'affare luccicante alla luce del bagno. Ogni volta sentivo la testa girare, e cadevo sfinito sul muro del bagno, con il corpo coperto di sangue.
Avevo ricominciato, sì. Mi punivo. Mi punivo così, volevo che il me stesso capisse che era tutta colpa sua se era in quella situazione, che era uno stupido, perché non riusciva a scollarsi da Cielo e perché aveva portato entrambi in quella situazione. Mi odiavo. Mi odiavo perché il mio amore per Cielo era immenso. Lui mi aveva tirato fuori dal più profondo dei baratri, vi aveva donato di nuovo la felicità. Malgrado la situazione, non riuscivo a staccarmi dalla mia comfort zone. Così, in un momento come quelli, decisi di infilare nella mia cover la lama, così da poter punire me stesso ogni volta che sarebbe successo.
Ma ultimamente era troppo spesso.
La volta che si distinse dalle altre avvenne a casa mia. C'era Robin. Ricevetti una chiamata da Cielo. Risposi, impaurito. Robin mi guardò preoccupata. Io mi scusai ed andai in bagno. Cielo urlava dall'altra parte del telefono, di nuovo. Non capii bene il motivo, ricordo solo la sua voce che mi dava colpe assurde. Quando riattaccò, ero talmente sconvolto dal senso di colpa e dal pianto, che mi dimenticai di Robin e mi accasciai a terra... e presi la lama di nuovo.
Non ricordo molto di quel momento, solo profonde ferite su gambe e braccia, la mia testa che girava, probabilmente per le perdite di sangue (ho sempre avuto questa cosa anche durante le analisi del sangue, facilmente mi girava la testa e rischiavo di svenire). Ricordo solo la porta che si apriva. E svenni, distrutto da quelle emozioni e dal dolore al corpo.
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La mia parola preferita è "cielo"
Ficción GeneralNico amava la solitudine. La stessa solitudine che lo ha portato al cadere nel buio. Ricevere un messaggio da qualcuno era l'ultima cosa che si aspettava. Dall'altra parte dello schermo c'era Cielo, un ragazzo più grande, che sembrava aver scritto l...